20-06-2016, 05.03.48 | #1 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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Il Narciso Nero e la nascita degli Illuministici
“A te alzo i miei occhi,
a te che siedi nei cieli.” (Salmo 123) PROLOGO Dall'alta vetrata del matroneo settentrionale brillava di luce arcana la Luna. Brillava nelle lunghe e silenziose fasi della notte. Col passare delle ore la meravigliosa Cassiopea si abbassava nel cielo, mentre Orione si stagliava tra le ultime e vaghe nuvole che non smettevano di agitarsi nel vento della notte. Giove maestoso saliva nel firmamento e la Chioma di Berenice si accendeva fantastica in lontananza, verso il misterioso Oriente. Ma la Stella Polare pareva ghignare sempre nello stesso punto della volta nera e sterminata, sinistra come un occhio folle ed inquieto, incantata come un miraggio perduto e solo quando il cielo è coperto riesce a riposare. I passi echeggiavano lenti ma ritmici tra le colonne tortili, i pilastri di pietra dai capitelli snelli e scolpiti, i preziosi marmi e le statue mute di beati Santi e mistiche Sante. Senza badarci il custode camminava tra il presbiterio, il transetto ed il deambulatorio oltre l'abside, muovendosi tra le antiche tombe nel pavimento di monaci e sacerdoti. Avanzava lasciando, quasi meccanicamente, il suo braccio penzolare mollemente e tenendo in mano un bastone di ferro, col quale toccava senza entusiasmo alcuno le grate dei cancelletti che chiudevano le nicchie ad altare lungo la navata. Il clangore del ferro tintinnava stridulo tra le alte volte, mentre la soffusa e tremolante luce della lampada che l'uomo portava con sé, un vago bagliore che alitava per la vasta cattedrale, accarezzava tetra i marmi e gli affreschi più bassi, proiettando ombre incerte ed informi qua e là in mutevoli giochi di chiaroscuro, per poi attenuarsi ed infine svanire dove gli archi a tutto sesto reggevano e coronavano le pesanti architravi trasversali, su cui solo a stento si potevano indovinare le figure e le scene descritte nei tondi e nei mosaici policromi. Come una sorta di ancestrale magia, il lieve ed effimero pallore della lampada solo per un attimo, breve e sfuggente, giungeva a squarciare il fitto e mistico buio che dominava nella cattedrale ormai chiusa. Al passaggio del custode e della sua piccola lampada, quasi come fosse un Caronte che attraversava il limite tra il mondo terreno e quello dello Spirito, per quell'istante infinitesimale i tratti delle statue e delle immagini dipinte sembravano poter prendere vita, per poi tornare, un momento dopo, a svanire nel limbo delle ombre mentre la fioca luce passava oltre. Percorse così il tragitto fino all'altra navata, dopo aver girato attorno all'abside, per poi fermarsi davanti ad un porta ceri su cui molte candele votive erano ormai sciolte, raccogliendone la cera informe per pulirlo. Ma un rumore secco e breve lo vece voltare di scatto verso l'entrata. "Gaglion..." disse fissando il buio e puntando contro di esso la lampada "... sei tu?" Ma nessuno rispose. Prese allora l'ultima parte di cera e la mise in un sacchetto, per avviarsi finalmente verso la Sacrestia, da dove poi sarebbe uscito dalla cattedrale. Ma di nuovo udì quell'insolito rumore. Stavolta sembrava provenire dai confessionali. "Che sia entrato un gatto?" Mormorò cercando di scorgere oltre il fitto buio circostante. "Gente che porta animali in chiesa..." scuotendo il capo ed avvicinandosi ai confessionali "... questo è il dramma del mondo di oggi... si amano più gli animali che gli uomini..." cominciando ad illuminare i confessionali uno ad uno "... non voglia il Cielo che sia un topo..." non riuscendo a vedere nulla "... il vescovo andrebbe su tutte le furie... e a ragione..." Qualcosa ad un tratto attirò la sua attenzione. Un'ombra, proiettata proprio dalla sua lampada, che per un istante parve muoversi innaturalmente. Avvertì allora cigolare e scricchiolare l'ultimo confessione, quello più lontano dall'ingresso, quasi come se qualcuno ci fosse dentro. D'istinto il custode alzò la lampada, puntandola nel punto in cui aveva udito quei rumori. Ma dal confessionale accanto a lui vide con la coda dell'occhio qualcosa. Una delle ombre, che la sua lampada animava, muoversi all'improvviso quasi fosse un velo. Un velo nero, impenetrabile, dalle movenze leggere e sinistre che quasi sembrava volteggiare dove solitamente il penitente si inginocchia davanti al suo confessore. Impietrito per lo spavento, il custode restò a fissarlo, incapace di concepire di cosa si trattasse. E nel velo, un attimo dopo, intravide dei tratti, vaghi e spettrali. Fu un istante. Un effimero istante che separa la lucidità dalla follia e la Salvezza dalla dannazione. La lampada gli scivolò dalla mano, cadendo e rompendosi, per poi avvampare in un momento il tappeto rosso che correva lungo la navata. Una fiamma che avvolse subito il corpo dell'uomo, in un rogo inesorabile. Un rogo che lo consumò in pochissimo tempo, tra le sue urla di straziante dolore e le immagini del Giudizio Universale sui muri dell'ingresso illuminate da quel tragico fuoco di morte. Come una torcia umana, l'uomo striscio' fin verso l'uscita, avendo la forza di spingere il pesante portone d'ingresso non ancora chiuso del tutto e svanendo oltre il portico colonnato. IL NARCISO NERO E LA NASCITA DEGLI ILLUMINISTICI Capitolo I: Fantasmi Afragolignonesi “Con inesauribile calunnia egli tentava la provvidenza; diceva che il bello è un sogno; disprezzava l'ispirazione; non credeva all'amore, alla libertà; considerava con scherno la vita – e niente in tutta la natura egli voleva benedire.” (Aleksandr S. Puskin) Tra le fumose strade cittadine pullulanti di borghesi e signorotti in colorati corpetti e rigidi doppiopetto e bombette, attraversate da calessi a due e a quattro cavalli, vagava insistente la squillante voce del ragazzo dei giornali che gridava nelle orecchie di ogni passante e sugli sportelli delle varie carrozze la notizia che quel giorno appariva su tutte le prime pagine di ogni quotidiano. “Furto nella cattedrale...” disse all'ennesimo ometto nel suo abito turchino con bottoni di seta e pantaloni scuri, agitandogli sotto al muso alcune copie di giornali “... rubato un inestimabile tondo raffigurante Sant'Anna con San Gioacchino e la Vergine Maria! Sparito anche il custode che la polizia sospetta essere l'autore del furto! Edizione straordinaria! Furto nella cattedrale!” Ad un tratto, sbucato da una viuzza che dalla piazza antistante tagliava verso due grandi palazzi Afraburgici del periodo precedente la Restaurazione, un uomo goffo e grassoccio, dai capelli e la barba rossiccia, sulla quarantina, vestito con abito blu orchidea, pantaloni di manchino e cappello scuro, caracollando con accento del posto si avvicinò al ragazzo, lanciandogli un quarto di Taddeo. “Una copia, ragazzo...” mormorò, col giovane che subito gli consegnò quanto chiesto. “Ispettore...” arrivando un altro individuo, non molto alto, ma asciutto e ben fatto “... novità?” “Un giorno” sbottò l'uomo sfogliando il giornale “qualcuno poi mi dirà come diamine fanno i giornali a conoscere puntualmente fatti e particolari che dovrebbero invece essere rigorosamente segreti ai più e noti solo a noi della polizia.” Scuotendo il capo e masticando nervosamente un grosso sigaro Toscano tra le labbra. “Il questore chiede...” fece il tipo snello. “Lo so, lo so.” Lo interruppe bruscamente l'ispettore. “Il questore vuole sapere dove diavolo è finito il custode della cattedrale e soprattutto come ha fatto a non lasciare tracce del furto. Mi prenda un accidente se lo so.” Alzando per un istante i suoi piccoli occhi chiari, simili a due strette fessure, dal giornale e fissando il suo sottoposto. “Non proprio, ispettore...” disse questi “... il questore ha incontrato stamani il vescovo e pare voglia sollecitare lo svolgimento delle indagini...” “Ed io cosa diavolo ho detto?” Seccato l'ispettore. “Avanti, andiamo a fare colazione. Poi torneremo alla cattedrale. Ho bisogno di un buon tè e di una grossa ciambella cosparsa di glassa alla fragola e gocce di cioccolato. Altrimenti resterò nervoso per tutto il giorno.” “Si, signore.” Annuì l'altro. +++
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20-06-2016, 09.24.55 | #2 |
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Il Sole mattutino entrò dalle alte finestre, illuminando il mio viso.
Infastiditi dalla luce, i miei occhi non si mossero, al contrario della mia mano, che vagò alla cieca nell'altra metà del letto, facendo brillare al Sole la fede di giada bianca nell'anulare sinistro e mi resi conto che ero da sola, ma soprattutto mi resi conto del fatto che quella melodia, che mi faceva da sottofondo quasi tutti i giorni da due anni, era già iniziata. Scossi appena la testa e sorrisi, poi mi alzai, indossando la preziosa vestaglia in raso e dando una veloce sistemata ai capelli. Uscii poi dalla stanza e seguii quella melodia come incantata, per i corridoi del palazzo, finché giunsi fuori dalla stanza. Aprii allora silenziosamente la porta e restai a guardarlo e ad ascoltarlo, mentre le sue mani scivolavano sui tasti, i suoi capelli lunghi e corvini incorniciavano il suo bellissimo viso ed i suoi occhi intensi e penetranti erano fissi sul pianoforte. Avevo conosciuto Theris dopo che i miei genitori mi avevano "avvisata" che avevano intenzione di darmi in moglie al figlio di un conte loro amico. Ovviamente io non ero stata d'accordo, avevo sempre odiato l'idea che gli altri mi manovrassero come una marionetta, ma avevo accettato il compromesso di mia madre, accettando almeno di conoscerlo. Ricordavo ancora il giorno in cui ci recammo nella sua tenuta: vagavo per il giardino incuriosita, quando sentii delle note stupende ed esse mi condussero ad un patio, in cui era posizionato un pianoforte e a suonarlo c'era lui. Rimasi senza fiato non appena lo vidi e quando iniziai a conoscerlo, capii che era lui l'unica persona che avrei avuto al mio fianco ogni giorno della mia vita e il fatto che avesse accettato di buon grado sia la mia magia, sia l'idea di celebrare il matrimonio con il rito pagano, a dispetto di tutto e tutti, me lo faceva amare ancora di più. Ricordavo benissimo anche la faccia esterrefatta di mia madre, perché intanto non si aspettava il mio cambiamento, e poi perché era veramente raro che matrimonio combinato e matrimonio "d'Amore" coincidessero. Anzi, non coincidevano mai. Nemmeno nel caso dei miei genitori, e forse il loro esempio mi era stato d'aiuto per capire che non avrei mai fatto quella fine. Restai lunghi istanti appoggiata allo stipite, poi mi avvicinai a lui e cinsi il suo collo con le braccia, inspirando il suo profumo, mentre le mie ciocche fulve sfioravano il suo viso. "Ti conviene staccarti ogni tanto da qui, o penserò che ami di più il pianoforte di me..." dissi piano, scherzando. Inviato dal mio E506 utilizzando Tapatalk
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20-06-2016, 12.04.57 | #3 |
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Così sì che andava meglio, pensai uscendo dalla bottega della sarta, con un bell'abito addosso e un paio in una borsa, anch'essa nuova.
Fortunatamente quella donna era l'unica ad avermi visto in quelle condizioni, e aveva creduto alle mie bugie, che così naturalmente mi erano uscite di bocca per coprire la verità. Già, la verità, pensai sospirando. Ecco, quello era il mio vero problema in quel momento. Il tramonto sul mare era particolarmente bello, una tavolozza di colori caldi che si scontrava con quelli freddi delle onde, creando un bellissimo contrasto, che però andava ad amalgamarsi. Fu quella la prima immagine che vidi non appena aprii gli occhi. Un meraviglioso tramonto. I miei occhi vagavano all'orizzonte, dapprima affascinati, poi inquieti, poi quasi spaventati. Era come se mi mancasse qualcosa. Mi alzai a fatica, rendendomi conto di avere i muscoli indolenziti. Cominciai allora a guardarmi intorno, spaesata. Dove diavolo ero finita? Che posto era quello? C'era una spada a pochi passi da me, mi alzai, e la raccolsi, con naturalezza, continuando a guardarmi attorno. La rigiravo tra le mani, mentre il tramonto si faceva sempre più scura. "Ehi bellezza non ci giocare con quella..." una voce rozza alle mie spalle. "Potresti farti male..." un'altra voce. Poi risate, e passi che si avvicinavano, potevo percepirli nonostante le onde del mare e il terreno leggero. Si avvicinavano. Continuavano a parlare, con fare lascivo, ma io smisi di ascoltare le loro parole. Erano vicini, sempre più vicini. Poi, un tonfo. Un altro. Li guardai cadere a terra e annegare nel loro sangue. La spada insanguinata nella mia mano. Mi resi conto di essere un semplice spettatore delle mie azioni. Erano bastate due mosse per infilare la spada nelle loro gole. Era stato facile, tremendamente facile. Con una tranquillità che mi spaventò mi inginocchiai tra i due corpi senza vita, e iniziai a spogliarli. I pantaloni di uno, la giacca dell'altro. Non che fossero ben vestiti, ma se fossi andata in giro con quello che restava di un vestito, strappato e sconveniente avrei fatto altri incontri del genere. Eppure la cosa mi inquietava, quella naturalezza con cui mi muovevo, come se il mio corpo sapesse esattamente cosa fare. Già, ero io che non sapevo, non sapevo nulla. L'unica cosa che mi era ormai chiara, era che quella spada mi apparteneva. In pochi istanti ero pronta, vestita da uomo, con un bel gruzzolo di taddei sonanti trovati nelle loro bisacce. Mi sarebbero serviti, eccome se mi sarebbero serviti. Avevo mille domande, ma ora sapevo di dover andar via da lì, cercare una città, un paese, qualunque agglomerato abitato di uomini, trovare riparo, cibo, vestiti. Poi, soltanto poi avrei affrontato la questione più importante. E così avevo fatto. Avevo camminato per tutta la notte, stupendomi di non essere spaventata dal fatto di essere sola di notte, e di non essere affatto contrita per quello che avevo fatto. Avevo ucciso due uomini come se fosse la cosa più naturale del mondo. Meglio loro che te.. Una voce emerse dal profondo del mio animo. Allora era rimasto qualcosa, avrei voluto fermarla e farle mille domande. Ma dopo quella breve, sprezzante considerazione era tornata nell'oscurità. Così mi sentivo, avvolta di oscurità. Alle prime luci dell'alba, ecco spuntare una città. Bellissima e austera, l'avevo osservata svegliarsi, stando attenta a non dare nell'occhio, con i capelli nascosti, lo sguardo basso che sembrava noncurante mentre invece osservava tutto. Finchè non avevo trovato quella bottega con dei bellissimi abiti in vetrina. Un problema risolto, ora me ne restavano mille altri, pensai, guardandomi attorno mentre cominciavo a camminare per la città. Dove diavolo ero? No, non era questo il problema più grave, bastava chiedere a un passante. Che ci facevo lì? Come ci ero arrivata? No, nemmeno questi erano quesiti fondamentali, paradossalmente, potevano aspettare. Sospirai, quasi temendo quell'interrogativo, quello che avevo cercato di ignorare fino a quel momento. Chi diavolo ero? Ecco, pensai con un altro sospiro, questo era il dramma. C'era un vuoto immenso dentro di me, come se la mia anima fosse una bambina capricciosa che si era chiusa in camera e non aveva nessuna intenzione di uscire. Mi sentivo spaesata, incerta, titubante. Possibile che sapessi riconoscere facilmente un tessuto pregiato, ma non ricordassi il mio nome? Il mio nome. Mi resi conto di non saperlo, così come non sapevo niente di me. Ma quello fu ciò che più mi sconvolse. Era come se non esistessi, ero un fantasma, un fantasma senza nome in una città sconosciuta. Una cosa alla volta, pensai, guardandomi attorno. Cominciamo a capire dove diavolo sei finita, dove puoi mangiare, dove puoi dormire. Cose pratiche, semplici, che potevo affrontare tranquillamente. Così, iniziai a camminare per le vie cittadine, mentre la città ormai si era svegliata, viva e rumorosa più che mai. Un ragazzo annunciava il titolo del giornale, e mi sembrò un ottimo punto di partenza, così lo comprai e mi diressi verso una caffetteria lì vicino, con i tavolini intarsiati e delle bellissime vetrate che davano sulla piazza. Non sapevo come spiegarlo, ma sapevo di avere un disperato bisogno di caffè, e di qualcosa di dolce. Così ordinai, e iniziai a leggere il giornale. |
20-06-2016, 12.40.11 | #4 |
Cittadino di Camelot
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𝔅𝔞𝔠𝑘 𝔦𝔫 𝓘𝔫𝔡𝔦𝔞
"𝓒𝓱𝒆 𝓭𝓲𝓪𝓿𝓸𝓵𝓸 𝒇𝓪𝓲 Karishma?" " 𝓒𝓱𝓲𝓾𝓭𝓸 𝓽𝓾𝓽𝓽𝓲 𝓲 𝓬𝓸𝓷𝓽𝓲 𝓬𝓸𝓷 𝓲𝓵 𝓹𝓪𝓼𝓼𝓪𝓽𝓸" "ℳ𝓪 𝓲𝓸 𝓼𝓸𝓷𝓸 𝓽𝓾𝓸 𝓹𝓪𝓭𝓻𝒆" " 𝓟𝓻𝓸𝓹𝓻𝓲𝓸 𝓹𝒆𝓻 𝓺𝓾𝒆𝓼𝓽𝓸 𝓸𝓻𝓪 𝓶𝓸𝓻𝓲𝓻𝓪𝓲" " Karishma, 𝓽𝓲 𝓹𝓻𝒆𝓰𝓸, 𝓪𝓫𝓫𝓲 𝓹𝓲𝒆𝓽𝓪̀" " 𝓟𝓲𝒆𝓽𝓪̀? 𝓓𝓸𝓿'𝒆𝓻𝓪 𝓵𝓪 𝓽𝓾𝓪 𝓹𝓲𝒆𝓽𝓪̀ 𝓺𝓾𝓪𝓷𝓭𝓸 𝓶𝓲 𝓱𝓪𝓲 𝓿𝒆𝓷𝓭𝓾𝓽𝓪? ℳ𝓲 𝓱𝓪𝓲 𝓿𝒆𝓷𝓭𝓾𝓽𝓪 𝓬𝓸𝓶𝒆 𝓼𝒆 𝒇𝓸𝓼𝓼𝓲 𝓾𝓷 𝓪𝓷𝓲𝓶𝓪𝓵𝒆" "ℒ𝓾𝓲 𝓽𝓲 𝓿𝓸𝓵𝒆𝓿𝓪. 𝓣𝓲 𝓪𝓿𝓻𝒆𝓫𝓫𝒆 𝓪𝓿𝓾𝓽𝓪 𝓲𝓷 𝓸𝓰𝓷𝓲 𝓬𝓪𝓼𝓸" " 𝓐𝓿𝓻𝒆𝓼𝓽𝓲 𝓭𝓸𝓿𝓾𝓽𝓸 𝓹𝓻𝓸𝓽𝒆𝓰𝓰𝒆𝓻𝓶𝓲, 𝓵𝓸𝓽𝓽𝓪𝓻𝒆 𝓹𝒆𝓻 𝓶𝒆 𝒆 𝓲𝓷𝓿𝒆𝓬𝒆 𝓽𝓲 𝓼𝒆𝓲 𝓰𝓲𝓻𝓪𝓽𝓸 𝓭𝓪𝓵𝓵'𝓪𝓵𝓽𝓻𝓪 𝓹𝓪𝓻𝓽𝒆, 𝓼𝓸𝓵𝓸 𝓹𝒆𝓻 𝓭𝒆𝓷𝓪𝓻𝓸. 𝓝𝓸𝓷 𝓱𝓪𝓲 𝓶𝓪𝓲 𝓭𝒆𝓽𝓽𝓸 𝓾𝓷𝓪 𝓹𝓪𝓻𝓸𝓵𝓪, 𝒇𝓪𝓽𝓽𝓸 𝓾𝓷'𝓸𝓫𝓲𝒆𝔃𝓲𝓸𝓷𝒆 𝓹𝒆𝓻 𝓸𝓰𝓷𝓲 𝓵𝓲𝓿𝓲𝓭𝓸 𝓬𝓱𝒆 𝓶𝓲 𝓿𝒆𝓭𝒆𝓿𝓲 𝓪𝓭𝓭𝓸𝓼𝓼𝓸" "ℒ𝓸 𝓼𝓸 𝓷𝓸𝓷 𝓼𝓸𝓷𝓸 𝓼𝓽𝓪𝓽𝓸 𝓾𝓷 𝓫𝓻𝓪𝓿𝓸 𝓹𝓪𝓭𝓻𝒆 𝓶𝓪 𝓸𝓻𝓪 𝓶𝒆𝓽𝓽𝓲 𝓿𝓲𝓪 𝓺𝓾𝒆𝓵𝓵𝓪 𝓹𝓲𝓼𝓽𝓸𝓵𝓪" "𝓝𝓸, 𝓷𝓸𝓷 𝓵𝓸 𝓼𝒆𝓲 𝓼𝓽𝓪𝓽𝓸. 𝓐𝓭𝓭𝓲𝓸 𝓹𝓪𝓹𝓪̀" Dacey si svegliò con la fronte imperlata di sudore e un grande dolore al petto. Era quello che si sentiva quando il male aveva invaso la purezza dell'animo. La giovane portò le mani sul cuore, cercando di prendere dei respiri profondi, calcolati. Non era la prima volta che aveva quell'incubo e ormai sapeva come affrontarlo. Tre respiri profondi si alternarono riportando la quieta in quella stanza. Dacey si alzò dal letto infilando la vestaglia trasparente, un vezzo più che un indumento di vera necessità. Amava la bellezza Dacey e poteva permettersela. " I tuoi soldi sono sporchi di sangue, così come le tue mani" una voce fece eco nella testa della giovane donna. Era il rimorso da un lato, che però venne spento poco dopo. Dacey aveva fatto ciò che aveva fatto per sopravvivere, perché fin da ragazzi a aveva compreso che la vita non era una favola e che il dolore faceva parte di essa costantemente. Ancora non aveva deciso che fare di se stessa. Non bastava cambiare nome per incominciare una vita nuova, pulita, felice. Dacey aveva brevi ricordi di che cos'era la felicità ma il resto della sua memoria era avvolto in temporalesche nuvole nere. La felicità andava conquistata e Dacey stava intraprendendo passi in quella direzione. Uscì dall'albergo in cui ancora dimorava vestita di tutto punto, sottolineando il suo rango. Un rango conquistato con lacrime e sangue, ottenuto sottomettendosi a un uomo crudele ma ricco. Smodatamente ricco e nobile. E morto. La vedovanza si addiceva a Dacey, il nero le affinava il corpo come se la stessa notte la avvolgesse. Attraversò qualche strada, le poche che ormai iniziava a conoscere e dove si sentiva sicura e arrivò in una piazza. Lì c'era un negozio che vendeva quadri. La pittura era una delle bellezze artistiche che Dacey più preferiva.
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It is saying that if you really desire something from the heart ... then the whole universe will work towards getting you that Dacey "Karishma" Starklan |
20-06-2016, 15.45.20 | #5 |
Cittadino di Camelot
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La carrozza procedeva veloce, mi lisciavo la veste nera la quale metteva in risalto la pelle bianca. Il notaio stava accanto a me, guardando entrambi fuori dal finestrino. Il mio non era un arrivo ma un ritorno forzato e doloroso.
Conobbi Antone ai tempi della Università, dovetti lottare contro la mia famiglia e la società per impormi ed appoggiata da mia madre e sorella Amelie avevo proseguito gli studi diventando scrittrice. Ero uno scandalo per la mia famiglia e mio padre, il duca de Bastian, ma grazie a Antone superai ogni paura ed ostacolo, lui fece carriera nel suo ramo di studi e divenne un affermato studioso di arte e ogni scienza e archeologo. Dopo il matrimonio, avvenuto due anni fa e contrastato dalla mia famiglia, sebbene Antone fosse nobile ma scapestrato, io e lui partimmo per vari paesi stranieri. Lui si affermò nel suo lavoro mentre io scrivevo dei nostri viaggi e delle sue scoperte. Eravamo un' unica persona, anche se diversi..io cosi scettica e introversa e lui cosi solare, intraprendente, bello e amato da molte donne, pieno di entusiasmo e vita fino a quel giorno... "Mi spiace" disse il dottore "Suo marito ha contratto una febbre rara o una malattia..non ce la farà, molto probabilmente contratta in qualche Paese da voi visitato". Sentii il pavimento cedere sotto di me.."Non è possibile, stava bene fino due giorni fa, io sto bene e pure il qui presente milord Adams, migliore amico di mio marito e suo collaboratore..era assieme a noi". Il dottore non aggiunse altro, ma era tutto strano. Antone non ce la fece e morì la notte stessa nonostante la sua lotta per la vita. Molti supposero fosse stato avvelenato, ultimamente lo vedevo assente, mi aveva parlato di una scoperta ed era entusiasta ma poi seguirono ansie e tensioni e non trovai nulla nei suoi appunti. "Comunque queste sono le mie disposizioni" dissi al notaio sciogliendo quel silenzio "Il nostro Palazzo è troppo grande, e poi ha troppi ricordi, mi sentirei troppo sola.." sospirai "Metterò in vendita l' ala nord o in affitto, e io rimarrò in quella sud..ma state attento a chi la prenderà e soprattutto non sia uno di quegli anticlericali o anarchici mio marito parlava sovente, soprattutto in locanda abbiamo sentito di quel fatto increscioso accaduto, dubito un uomo di Chiesa possa rubare un quadro" dissi risoluta sventolandomi col ventaglio. Arrivammo al Palazzo, vicino vi stava quello della mia famiglia ma ormai i rapporti erano chiusi, mi gettai al cancello guardando la sontuosa dimora..sarebbe diventata una sorta di prigione dove ricordare il passato e cercare di rifare un futuro solo per me stessa. Entrai a passo veloce e trovai la governante, Petronilla, la quale mi abbracciò "Passerà...milord Antone non vorrebbe vedermi triste" e nel mio viso stanco apparve un sorriso ostentato.
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"Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte". E.A.Poe "Ci sono andata apposta nel bosco. Volevo incontrare il lupo per dirgli di stare attento agli esseri umani"...cit. "I am mine" - Eddie Vedder (Pearl Jam) "La mia Anima selvaggia, buia e raminga vola tra Antico e Moderno..tra Buio e Luce...pregando sulla Sacra Tomba immolo la mia vita a questo Angelo freddo aspettando la tua Redenzione come Immortale Cavaliere." Altea |
20-06-2016, 18.11.37 | #6 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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Theris sorrise a quell'abbraccio di Gwen, dando un tocco di irrequietezza alle sue note, che da lente divennero appena più vivaci.
“In realtà” disse accarezzando i tasti “tu e questo pianoforte siete più simili di quanto pensi... entrambi mi aiutate ad immaginare, a fantasticare...” suonando di nuovo con note più malinconiche “... anzi, il mondo mi appare più bello solo quando suono o quando tu mi sei accanto...” Fu in quel momento che Gwen notò qualcosa semicoperto dallo spartito. Era un libello dalla copertina sgualcita.
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20-06-2016, 18.15.43 | #7 |
Cittadino di Camelot
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Sorrisi alle sue parole, notando i repentini cambi di ritmo delle note, e affondai il viso nei suoi capelli.
Ad un certo punto notai un libello dalla copertina sgualcita. Non lo avevo mai visto prima. "Cos'è quello?" indicandolo. Inviato dal mio E506 utilizzando Tapatalk
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20-06-2016, 18.40.25 | #8 |
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La cameriera portò al tavolino della ragazza senza nome una tazzina di caffè caldo ed una fetta di crostata con confettura di fragole.
Era una caffetteria molto elegante, del tipico gusto Taddeiano, con i tavolini tutti occupati da borghesi impettiti e donne perlopiù seccate o indifferenti, l'odore di tabacco indiano nell'aria e quadri alle pareti in fodera rossa di Provenza che ritraevano paesaggi romantici o bucolici, così lontani invece dal chiassoso ed affollato centro cittadino, a ridosso della città vecchia, sede della corte imperiale. E tra un sorso di caffè ed un morso di crostata, la ragazza che ignorava il suo passato prese a leggere il giornale, con lo sguardo che le cadde subito sulla notizia in prima pagina, che così riportava: “Stamani all'arrivo dei due custodi S. M. e O. P. nella cattedrale una clamorosa e terribile scoperta li attendeva. Il celebre affresco raffigurante San Gioacchino e Sant'Anna con la Vergine Maria, conosciuto anche come Tondo Aureo, per la caratteristica forma circolare, che impreziosisce da ben tre secoli l'Altare della Sacra Famiglia a sinistra dell'abside era infatti sparito. Dato immediatamente l'allarme e chiamata la polizia, in seguito ad una serie di controlli nell'intera cattedrale, ha preso via via più corpo l'ipotesi di furto ad opera di T. G. che aveva coperto il turno notturno come custode. L'uomo sembra essere sparito nel nulla ed anche gli interrogatori effettuati sui membri della sua famiglia non hanno dato risultati. Con ogni probabilità, come crede l'ispettore Ozzillon, responsabile delle indagini, il custode è fuggito col prezioso bottino nel cuore della notte, lasciando di certo poi anche la città. Resta tuttavia da chiarire come sia riuscito a nascondere il Tondo Aureo e aggirarsi per le strade cittadine, pattugliate fino all'alba dalla gendarmeria Afragolignonese.”
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20-06-2016, 18.55.01 | #9 |
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Lessi attentamente quel giornale, era più facile scoprire chi aveva rubato quel quadro, che scoprire qualcosa del mio passato.
Mi faceva bene, tuttavia, leggere quel giornale, immergermi in faccende che non mi riguardavano ma che potevano essere interessanti, che potevano distrarmi costantemente da quel vuoto cosmico che era la mia anima. Tornerà, diceva una voce dentro di me. E se non tornasse? E se non mi ricordassi mai il mio nome? Magari c'è qualcuno che mi cerca, magari qualcuno è in pena per me... Oppure più semplicemente non c'è proprio nessuno. Tutto era incerto, confuso. L'unico indizio che avevo era quella spada, che tenevo ben celata sotto la gonna. Ripensai a quella notizia, così strana e inquietante. Perché mai il custode avrebbe dovuto rubare quel furto quando era il suo turno? La cosa non era poi così logica. Dovrebbe sapere che sarebbe stato il primo ad essere sospettato. No, c'era sicuramente qualcosa sotto, pensai, aggrottando la fronte. Poi sospirai, bevendo l'ultimo sorso di caffè, ripiegai il giornale e mi alzai. Dovevo trovare una locanda per la notte, curiosare per la città, e magari portare la spada da un esperto. Chissà, magari poteva dirmi qualcosa. Magari potevo spacciarla per un regalo, o qualcosa del genere. Magari invece è pericoloso.. Dovevo decidere bene cosa fare. Intanto mi sarei goduta quella bella mattinata. Così uscii, iniziando a passeggiare senza una meta apparente. Magari avrei trovato una locanda. |
20-06-2016, 19.02.38 | #10 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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Dacey attraversò le strade cittadine ormai già ben chiassose ed affollate, con una variegata umanità che si disperdeva davanti ai circoli sportivi, le botteghe di merce varia, le panchine delle piazze, i porticati delle chiese e all'ombra di raffinate caffetterie a discutere di caccia, politica ed economia.
La giovane donna era ormai abituata agli sguardi indugianti sulla sua bella figura, i sorrisi compiaciuti ed i cenni di omaggio che uomini di ogni età e ceto mostravano al suo passaggio. Il suo fascino esotico, il suo vistoso lignaggio ed il mistero che molti intravedevano nei suoi bellissimi occhi ambrati e in quel bruno candore di una nobiltà straniera e sconosciuta attiravano non solo le attenzioni, ma anche la curiosità di molti uomini, giovani e non. Per qualcuno Dacey era forse una principessa greca fuggita in seguito al dominio turco nell'Egeo, mentre per qualcun altro si trattava di una reale Persiana in visita nell'Occidente Cattolico ed Afragolignonese. Per altri era la figlia illegittima di qualche ufficiale dell'esercito imperiale nata in una delle tane colonie orientali, per altri ancora invece, dotati di spiccata e fanciullesca immaginazione, poteva essere un'ammaliatrice forse Rumena, arrivata nel mondo evoluto ed aristocratico per rubare i cuori ed il senno di ricchi borghesi o potenti aristocratici. E lei, in quella sua camminata fredda ed apparentemente indifferente, attraversava quegli sguardi ed i loro desideri, fino a raggiungere il noto negozio d'arte del signor de Marciapien, dove molte nobili dame amavano acquistare opere per le loro case. “Milady, benvenuta...” disse l'uomo avvicinandosi a Dacey “... in cosa posso servirvi? Cosa desiderate? Avete già un'idea o preferite osservare alcuni dei nostri lavori?”
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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO |
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