Il misterioso ex galeotto e Tessa raggiunsero l'ingresso di quella grotta.
Ma prima di entrare, la giovane donna gli parlò del quadro di Gaya visto in chiesa.
“Si, rammento...” disse annuendo lui “... ne parlavate con Fra' Godwin... io ricordo tutto ciò che dite... e in effetti la cosa è alquanto curiosa, se non addirittura strana... avete sognato di una donna di cui non sapete nulla... e a quanto pare non si tratta di una donna comune ed anche particolarmente amata in queste terre... beh, forse quel bambino non aveva poi tanta fantasia quando ha detto gli ricordavate una principessa...” rise “... non c'è che dire, io e voi insieme siamo davvero un bel rompicapo...” sorridendo col suo solito modo di fare “... ma come vi ho promesso, al di là di come finirà questo nostro viaggio su questo Santo Monte, dopo ci metteremo in cerca di notizie sui vostri enigmatici Natali... promesso...” fissandola negli occhi.
Un attimo dopo entrarono nella caverna e si ritrovarono davanti ad uno stretto cunicolo.
La maschera di ferro prese Tessa per mano ed insieme cominciarono a scendere.
“Non lasciate la mia mano, o inciamperete... magari trascinandomi a terra con voi, finendo l'uno sull'altra...” fece il prigioniero, tra il divertito ed il serio.
Vi era un'atmosfera strana, misteriosa, quasi solenne laggiù.
La luce, sempre più debole, vaga e sfocata, man mano che scendevano, pareva precederli e scintillare come una stella di una chiara sera di Primavera, quasi che volesse indicare loro l'accesso alle remote e nascoste tesorerie della natura.
Fino a quando raggiunsero un dedalo di gallerie. E il sussurro dell'acqua di qualche vena sotterranea, la lontananza della superficie abitata ed animata, l'oscurità misteriosa ed affascinante e il groviglio di gallerie simile ad un labirinto magico e naturale sembravano dare a quel luogo un'atmosfera incantata.
E ad un tratto, quando la penombra dominava quasi sovrana, in lontananza, in fondo ad una di quelle lunghe gallerie, l'ex galeotto e Tessa videro splendere una debole e chiara luce.
“Credo ci siamo...” mormorò lui, indicando quella luce lontana.
Così la raggiunsero, ritrovandosi in uno stretto antro, illuminato da una lanterna che pendeva da un chiodo conficcato nella parete rocciosa.
E seduto su un rudimentale sgabello posto davanti ad una spartana tavola di faggio e tufo stava un vecchio dall'aspetto venerando e l'aria incanutita.
Un attimo dopo il vecchio si voltò a fissarli.