13-11-2011, 19.39.03 | #1 |
Cittadino di Camelot
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Things that go meow in the knight
WARNING: Questa è una storia eccessivamente sdolcinata e piena di cliché. Siete stati avvertiti! Ah, è Galahad/Mordred. E' la cosa più emo che io abbia mai scritto.
Questa storia inoltre è piena di cliché ed è ispirata dalla tragedia di Campbell intitolata "Mordred". Nella stessa Mordred è un giovane gobbo che ha in realtà un animo molto gentile ed ama tanto tanto, ma tutti lo odiano per il suo aspetto. Insomma, questa è quella storia in cui Morgana è come Yzma, Mordred non si piace e Galahad è un novello Redi. Ci sono degli anacronismi? Forse. Questa non è una storia storica, è una robaccia fantasy ambientata nel mondo di Malory. Things that go meow in the knight Mordred tentò di rimangiarsi lo starnuto, ma finì solamente per riuscire ad ingoiare sorsate del proprio muco ed a singhiozzare imbarazzato. Morgana gli scoccò un'occhiata insoddisfatta e assottigliò maggiormente le già quasi invisibili e livide labbra. "Deve essermi andato di traverso qualcosa," sorrise Mordred. Negare l'evidenza era il più grande dei suoi pregi e non vi era nulla di male se, rabbrividendo per la febbre, con il viso che aveva l'aspetto di una sfera di cristallo (ma molto rossa) ed il naso che colava più delle cascatelle della dama del lago, il giovane figlio di Artù riusciva, sorridendo, ad ammettere che non si era mai e poi mai sentito meglio di così. Per non parlare del fatto che era difficile peggiorare il suo aspetto e probabilmente nessuno avrebbe notato i cambiamenti. "Certo," bofonchiò Morgana. Morgana e Morgause avevano poco in comune. Dove l'una aveva una nidiata di maschiacci, l'altra aveva sfornato solo un giovane e timido cavaliere. Dove la prima prorompeva sensualità provocante la seconda aveva il sex appeal di un torsolo di mela. Ma c'era qualcosa che le accomunava (esclusi ovviamente i parenti serpenti; nominalmente "Artù") ed era l'assoluta intolleranza per le malattie. Fin dove il ricordo di Mordred arrivava, Morgause era sempre stata categorica nell'evitare di avvicinarsi ai figli in caso di malattia. Una volta aveva addirittura lasciato la corte del Lothian per allontanarsi da Gaheris che si era beccato una dose maligna e terribile di raffreddore. Mordred non aveva dubbi sul fatto che anche la pazienza di Morgana navigasse piuttosto bassa e, per di più, la strega era anche assolutamente assorbita dallo stress. Morgause le aveva cordialmente chiesto di accudire il giovane Mordred all'arrivo a Camelot e rendere di lui un astuto statista. "Assomiglia ad un minotauro e ci sarà chi lo chiamerà figlio del demonio o demone lui stesso!" aveva esclamato Morgause alla sorella minore. Non aveva avuto tutti i torti perché gli abitanti di Camelot sembravano parecchio propensi a chiamarlo 'demone' anche se ognuno aveva le proprie personali ragioni (molti lo facevano perché era nato da incesto, altri perché effettivamente Mordred aveva tentato di rubar loro amicizie, glorie o denari e la maggior parte usava simili termini semplicemente per il suo aspetto). "Quello che mi- ci - serve è che la sua intelligenza di astuto statista brilli così tanto da offuscare tutto il resto," erano state le ultime parole di saluto di Morgause prima della partenza del figlio per Camelot. Mordred purtroppo non aveva nulla di astuto. O dello statista. E quindi Morgana si era ritrovata con l'incapacità del giovane cavaliere da una parte e l'irritabilità della sorella maggiore dall'altra. Una vera e propria accumulatrice di insalubre stress. Al quinto starnuto (che Mordred non riuscì ad ingoiare) Morgana si alzò dal tavolo, acchiappando frettolosa i propri libri e tentando di ripararsi da nuove piogge disgustose da parte del nipote. "Scusatemi, zia Morgana," farfugliò Mordred, asciugandosi il volto su una manica. Gli occhi avevano anche iniziato a lacrimare e la luce gli stava dando parecchio fastidio. Tentò di mettersi a sedere più comodo nella sedia, ma tutte le ossa gli facevano male. In realtà la cosa aveva un lato piacevole perché per una volta non doveva preoccuparsi del fastidioso dolore della sua schiena sbilenca appoggiata allo schienale. "Non posso tollerare una cosa simile, vai nelle tue stanze e torna quando non sembrerai più una candela in fase di disgustoso scioglimento." "No, zia Morgana! Devo finire di imparare i nomi delle famiglie irlandesi entro domani. E' il programma di-" "-di tua madre, lo so. Ma di questo passo finirai per scioglierli i miei libri." "Zia Morgana-" starnuto "-ti assicuro che passerà in qualche-" starnuto "-minuto." La strega portò gli occhi al cielo e mormorò qualche parola sospettosamente simile a 'testardo' e 'lezione' e 'tempo'. Speranzoso che la frase nell'insieme fosse qualcosa di simile a 'Che testardo, vuole continuare la lezione. Per fortuna c'è ancora tempo', Mordred prese con innocente fiducia la tazza scura che la zia portò qualche minuto dopo dalla porta accanto. "Mi farà passare-" starnuto "-quest'inconveniente casualità?" domandò il cavaliere, bevendo. Aveva un sapore zuccherino ed ignoto, ma non del tutto spiacevole. "Certo. Vedrai." Mordred non aveva la minima idea del fatto che la frase brontolata da Morgana fosse: "Che testardo, è il momento di dargli una lezione. E di racimolare un po' di tempo libero per me." La prima cosa di cui Mordred si accorse, quando si svegliò, fu l'assenza del fastidioso e sordo dolore che gli capitava sempre quando dormiva per troppo a lungo nella stessa posizione. E subito dopo si rese conto che la sua schiena era perfettamente normale. Poteva alzare la testa, raddrizzarsi poteva- muovere la coda? Fu con orrore che Mordred abbassò lo sguardo su delle zampe al posto dei suoi normalissimi piedi (e sentì anche una bizzarra nostalgia per il proprio storto piede destro). C'erano zampe. Zampe nere striate di grigio, con piccole unghie retrattili. Si guardò attorno sentendosi leggermente nel panico. Tutto era molto più grande (o forse lui era molto più piccolo?), tutto era molto meno colorato e tutto- tutti i nuovi odori, come vortici! Ed i rumori erano così forti. Quando Mordred riuscì a mettersi sulle proprie nuove e terribili quattro zampe, si permise un profondo sospiro e non si spaventò nemmeno troppo quando l'aria uscì dalla sua gola con un miagolio strozzato. "Bene," pensò, nervosamente. "Sono un gatto, ma non c'è nulla di cui preoccuparsi." Guardandosi attorno si accorse di essere ancora nell'anticamera delle stanze di Morgana. Il morbido arazzo decorato a fate minute di falcetti con intenti decapitatori era inconfondibile. E se Mordred non ricordava male, subito dopo il tavolino per il ricamo, vi era un lussuoso specchio a parete che il ricco re Urien aveva regalato alla moglie prima di vederla partire per Camelot. Mordred si avvicinò, ondeggiando all'inizio ma acquisendo sempre più fiducia nei propri nuovi cuscinetti carnosi. Lo specchio era lì, altissimo e imponente e invece di riflettere un ragazzo gobbo, dal naso storto coperto di lentiggini, stava regalando l'immagine di un gatto. Un gatto molto piccolo, ma dalla schiena e dalle zampe perfettamente dritte. Era completamente nero con qualche spennellata grigia che pareva essere stata dimenticata sulle sue zampe e sulla coda. Nel muso decisamente affilato spiccavano degli enormi occhi blu. La cosa disgustosa fu che, per un secondo, Mordred desiderò rimanere così per sempre in quella forma animale arruffata che poteva tranquillamente guardarsi ed ammirarsi allo specchio senza dover provare ribrezzo o vergogna. L'emozione non durò a lungo perché qualcosa di più impellente subentrò: la fame. Aveva un'improvvisa e terribile fame. Per non parlare degli starnuti che avevano ricominciato a salire ed uscire da quel naso tutto nuovo, facendogli vibrare i baffi (anch'essi tutti nuovi; da uomo aveva avuto un filo di barba tagliuzzata, ma mai nulla di simile a dei baffi). Doveva trovare del cibo. Ed un posto caldo in cui dormire. E uccidere Morgana. No, forse quest'ultimo pensiero era da eliminare, dopotutto Morgana sapeva quanto Morgause contasse su Mordred per riavere un po' del potere perduto con la salita al trono di Artù e quindi la zia non avrebbe mai osato veramente fargli del male. Fame. Fame. Mordred si ritrovò a miagolare. E poi miagolò più forte e ancora più forte. Gironzolò per la stanza, senza meta. Saltò sopra il tavolino del ricamo e rimase incantato qualche minuto davanti ad un filo che penzolava da uno degli aghi luccicanti. Fame, gli ricordò il proprio stomaco. Dal tavolino poteva vedere tutti l'anticamera con l'orribile arazzo, il caminetto spento ed un'apertura verso l'esterno che lasciava intravedere qualche stella. Quindi era notte, o sera, e Morgana stava dormendo o si trovava nella sala del banchetto dove nessuno avrebbe notato l'assenza del figlio bastardo del re. Fantastico. E lui aveva ancora fame. Saltando giù dal tavolino, Mordred raggiunse la porta che dava sulla stanza da notte della zia e grattò il vecchio legno, tentando di fare leva, ma senza risultato. Sconsolato provò la porta che lo avrebbe portato nel corridoio principale e fuori dal piccolo territorio di Morgana. Fortunatamente questa era solo stata socchiusa e, anche se a fatica, il gattesco cavaliere riuscì ad infilare una zampa nello spiraglio ed a trascinare la pesante porta verso di sé. Dovette ammettere che a sforzo fatto la sua fame era triplicata. "Ora sono nel corridoio," si miagolò da solo, starnutendo subito dopo. "Devo solo raggiungere le cucine e rubare qualcosa da mangiare prima che uno di quei selvaggi servi decida di mangiare me." Trovare la via verso le cucine e la sala del banchetto fu più facile del previsto. Non solo Mordred conosceva il castello come le sue tasche, ma gli bastava anche solo seguire l'odore del cibo ed il rumore della musica flebile ed in lontananza. Percorse l'intero corridoio senza intoppi particolari (a parte una dama di compagnia troppo frettolosa che rischiò di decapitarlo con le proprie gonne) e si ritrovò davanti ad una rampa di scale che l'avrebbero portato al cortile esterno, oltre le stalle, fino alla sala, un po' separata, del banchetto. Le scale erano sempre state difficili per Mordred che riusciva a percorrerle solo con un'andatura particolarmente ondeggiante e ridicola. Da agile e perfetto felino non poteva essere tanto ardua, giusto? Con baldanza, appoggiò la zampa anteriore destra su un gradino e poi la sinistra. Fu nel momento in cui alzava una posteriore per poter balzare in avanti che Mordred si accorse di quanto scivolosi fossero quei pavimenti e le unghie non fecero nulla per trattenerlo dalla caduta. Rotolò per almeno sette o otto gradini prima di scontrarsi contro un morbido muro. Un morbido muro dall'odore stranamente e inconsciamente familiare. Ci fu un poderoso starnuto e Mordred alzò gli occhi da gatto ad esaminare chi o cosa avesse interrotto la sua pericolosa caduta. Il cosa era una coppia di persone e, nonostante sembrassero dei terribili giganti, Mordred li conosceva. "E' un gatto del demonio," annunciò sir Bors, starnutendo di nuovo. "Vedi l'effetto che mi fa?" Mordred fu sul punto di tirare fuori le unghie e graffiare abbondantemente la gamba del cavaliere, ma proprio in quel momento un paio di mani lo sollevarono con facilità e lui si ritrovò faccia a faccia con sir Galahad. Il bellissimo sir Galahad con il naso a punta e le guance sempre rosse. Da così vicino, Mordred poté scorgere con facilità persino le pagliuzze verdi negli enormi occhi azzurri del giovane cavaliere. E la minuscola cicatrice sul biondo sopracciglio destro. "E' solo un gatto," annunciò Galahad. "Non è nemmeno del tutto nero." "Mettimi giù, idiota," miagolò il figlio del re, con rabbia e si ritrovò persino a soffiare. La sorpresa negli occhi dell'altro fu di grande soddisfazione. "Non aver paura. Bors non ti brucerà su nessun rogo," sussurrò Galahad appoggiandosi l'animaletto contro il petto, tenendolo stretto a sé nell'incavo del braccio sinistro. Oh, pensò Mordred. E' tutto caldo. E morbido. No, lui era un principe, era il principe del Grande Re, nipote della Strega, fratello di uno dei migliori cavalieri della Tavola Rotonda e figlio della donna più temuta del regno, lui non avrebbe ceduto. D'accordo, essere toccato così era piacevole (e decisamente nuovo perché a parte gli abbracci dei propri fratelli nessuno mai osava toccarlo) ed in particolarmente essere toccato dallo strambo sir Galahad. Miglior-cavaliere-del-torneo-Galahad, Faccia-di-fanciulla-Galahad, Oh-vorrei-che-fosse-mio-figlio-al-posto-di-Mordred-Galahad (o questo era ciò che Agravaine gli aveva riferito un giorno, mentre spiava Artù), Ho-avuto-un-sogno-erotico-su-di-lui-Galahad (e questo era meglio dimenticarlo). Stava pensando così intensamente che si sentì persino i baffi vibrare. E poi l'altra mano di Galahad iniziò a fare delle cose assolutamente indecenti, cose che Artù avrebbe di sicuro dovuto mettere al bando perché parevano rendere la brillante (anche se non troppo) mente del principe ad una nebbiolina informe. Iniziò a lasciare brevi tocchi sulla testa di Mordred, fino a raggiungere la coda, con le dita e poi con la mano intera, passando a grattare sotto il mento e strofinare le guance ed i baffi con il pollice. Mordred sospirò e con il sospiro si accorse di aver appena iniziato a produrre un bizzarro rumore sordo e ripetitivo. Fu più forte di lui, era come navigare sotto il sole e lasciarsi addormentare circondati da calore e dagli odori rassicuranti dell'estate. (Nella confusione che la sua mente era diventata, Mordred capì di dover assolutamente progettare un tremendo stratagemma per rapire Galahad ed obbligarlo a coccolarlo per sempre.) "Sta facendo le fusa," esclamò Galahad, con una nota di trionfo che Mordred ignorò, non era il momento di pensare troppo alla propria dignità, doveva solo rimanere lì e lasciare che tutto il resto scomparisse. Che ci pensasse Morgause a riprendere il potere, che ci pensasse Morgana alla politica e Gawain alle Orcadi. A lui bastava bagnarsi in quel momento di calore ed assuefarsi alle vibrazioni che il petto di Galahad mandava mentre questi discuteva con Bors. Forse stavano parlando di importanti segreti relativi a Lancillotto ed a terribili stratagemmi per prendere il trono di Artù? A Mordred non poteva importare di meno in quel momento. Fu solo una la frase che colse la sua attenzione: "Sir Bors, dovremmo prendergli del cibo dalle cucine." "Sì, sì, bravo Galahad, sono certo che il sale in zucca ti viene tutto da parte di madre," pigolò Mordred affondando ritmicamente le unghie nella tunica dell'altro. Ciò che rispose Bors non fu importante, la cosa fondamentale fu che Mordred riuscì ad appoggiare la testa sulla spalla di Galahad e chiuse un attimo gli occhi. Giusto un secondo, per riposarsi dal trauma di risvegliarsi gatto. Avrebbe dormito in quel calore (così tiepido e morbido) solo per un minutino. Si destò tutto intorpidito e con l'odore di pesce nel naso. "Bentornato, Agamennone," esclamò gioiosa la voce di Galahad. Non si trovavano più nel corridoio o per le scale, ma in una stanza che Mordred non riconobbe e che sicuramente doveva appartenere al francese. Non ebbe però tempo per esaminarla perché proprio lì davanti a lui, per terra, vi era un piatto enorme di cibo. E lui ne aveva bisogno ora. Con un balzo felino, letteralmente, Mordred si districò dalle mani dell'altro e si fiondò sul cibo. Non aveva mai mangiato nulla di così buono. A metà piatto poté concedersi un sospiro e sentì gli occhi che si stavano nuovamente chiudendo. La dura vita del gatto, pensò, mangiare metteva sonno. "Ridammi il mio calore, schiavo," miagolò, pateticamente, ma Galahad parve capire almeno il senso di ciò che voleva perché lo riprese nuovamente in braccio e, dopo essersi sdraiato sul proprio letto, se lo appoggiò nuovamente sul petto. "Hai sonno, Agamennone?" "Non posso credere che tu mi abbia chiamato Agamennone. E' un nome orrendo! Tu sei orrendo!" Mancava energia però nella nuova indignazione perché Galahad non era orrendo e Mordred poteva ben dirlo. Perché Mordred se ne intendeva di cose orrende (gli piaceva ricordare come la prima cosa orrenda che avesse mai visto fosse stata se stesso riflesso in un lago, lassù alle Orcadi e subito dopo Gaheris che tentava di mangiarsi la teiera bollente di loro madre). Con la zampina, il figlio del re tastò il mento dell'altro e poi gli zigomi ed il naso. Era tutto perfettamente simmetrico e- e- le mani di Galahad sul suo pelo iniziavano a distrarlo ed inoltre era difficile riuscire a pensare con tutto il rumore delle proprie fusa. Decise che la cosa migliore per tutti sarebbe stata dormire. Nel sonno del gatto, Mordred scoprì due cose. La prima era che Galahad russava leggermente, ma era avvantaggiato dall'avere l'odore più buono del mondo. La seconda cosa era che i felini sognavano e Mordred sognò in modo epico (avrebbe aggiunto la cosa alla lista di attività che, sorprendentemente, era in grado di svolgere). Sognò di uccelli di metallo volanti e di pietre altissime, così alte da sorpassare l'albero più alto che lui avesse mai visto e vivevano tutti in un posto detto Nuova York.
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[English Arthurian fandom] ❒ Single ❒ Taken ✔ In a relationship with arthurian legends |
13-11-2011, 19.39.28 | #2 |
Cittadino di Camelot
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Non c'era ancora luce che entrava dalle finestre e durante la notte il fuoco si era spento. Fu il gelo a svegliare Mordred, poco prima dell'alba, in una stanza sconosciuta e completamente accoccolato sul cavaliere più ben visto di Camelot. Senza vestiti. Ovviamente aveva avuto la sfortuna di tornare essere umano mentre era in una stanza altrui. Ovviamente. (Questo gli ricordava proprio un sogno che aveva fatto-).
Con un singulto, Mordred si mise subito a sedere. Bene. Bastava respirare- un respiro fuori e uno dentro - non era necessario entrare nel panico, almeno non prima di essere riuscito ad uscire di lì. Delicatamente si districò dalle braccia di Galahad (l'ultima cosa che voleva era che il cavaliere morisse di sacra paura alla vista di un non molto piacevole ignudo Mordred nel proprio letto) e scendendo del letto afferrò una delle coperte per avvolgersela attorno. Non gli capitarono tutte le sfortune perché la porta non era incatenata e non cigolò nemmeno quando uscì nel corridoio. Il pavimento gelido non era piacevole sotto i suoi piedi nudi, ma era o quello o passare altro tempo nella stanza di Galahad a rubargli vestiario. No, l'idea migliore era la velocità e sperare che i pochi servi che si erano già alzati per accendere i fuochi non lo notassero o, almeno, non lo riconoscessero. Corse fino alle proprie stanze che, da quando Agravaine si era sposato con la bella (e libertina) Laurel, Mordred non divideva più con nessuno. "Sei in ritardo," esclamò la voce di Morgana. Mordred sobbalzò e chiuse la porta dietro di sé. La zia se ne stava tranquillamente seduta sul suo letto, completamente a proprio agio nella camera del nipote. Aveva acceso un caldo fuoco e stava leggendo un libro in lingua greca che lui non riconobbe. "Mi hai avvelenato!" "Ma sei guarito." Sorpreso, Mordred rimase qualche secondo a controllare la propria qualità fisica. Effettivamente non starnutiva più e non aveva più febbre. Suo malgrado dovette annuire. "Ma in realtà l'ho fatto perché era un gattino adorabile. Hai trovato una bella famiglia?" "Vorrei vestirmi," sbottò Mordred, ma Morgana non capì - o non volle capire - il sottointeso perché si limitò a fare spallucce ed a continuare a guardarlo. "Potete lasciarmi solo?" "Oh, che ragazzi noiosi che ha cresciuto mia sorella. D'accordo, me ne vado. Fa' quello che devi fare e ci vedremo in pomeriggio per la nostra lezione." Mordred la guardò uscire con aria imperiosa e non provò nemmeno a chiederle di non avvelenarlo mai più. Sapeva che Morgana avrebbe semplicemente fatto ciò che più desiderava. *°*°* L'astore si accomodò meglio sul suo spesso guanto. Era un maschio molto piccolo che da poco aveva perso il piumaggio castano della nuca. Tenendo la mano alta, Mordred scese dal cavallo e sciolse il cappuccio dell'uccello, liberando i suoi occhi dorati. Con uno scatto del polso, lasciò che l'astore, il cui nome era Teofrasto, partisse subito al volo senza necessitare null'altro che la forza delle proprie ali. Il primo volo fu a vuoto e Mordred dovette risalire sul proprio cavallo e correre a riprendere Teofrasto che, pigramente, si era posato su un basso ramo. Al secondo volo l'uccello riuscì ad afferrare una piccola lepre che riportò celermente al proprio padrone, con un acuto grido. "La mia piccola macchina da guerra," lo salutò affettuosamente, recuperando la lepre. Poteva dirsi soddisfatto perché solitamente Teofrasto faticava a prendere animali più grandi di un corvo non essendo nemmeno lui tanto massiccio. "Non sono un esperto, ma posso ammirare una buona caccia. In Bretagna non è necessaria l'arte della falconeria per essere cavalieri." L'improvvisa voce di Galahad fu una sorpresa nel silenzio dell'alba e Teofrasto notò l'agitazione del proprio addestratore perché sobbalzo e riprese il velo. Imprecando, Mordred gli corse dietro sentendo gli zoccoli del cavallo di Galahad dietro di sé. Il vento contro il volto aiutò molto nel diminuire il rossore che si era diffuso. L'imbarazzo non era solo dovuto al fatto che si era reso ridicolo lasciandosi scappare il proprio astore come un novellino, ma soprattutto per il fatto che quella era la prima volta che lo rivedeva dopo l'intera esperienza della trasformazione in gatto, due giorni prima. Fermò il cavallo quando Teofrasto decise di riposarsi su un basso ramo accanto al torrente. Scendendo riuscì facilmente a recuperarlo e subito rimise il piccolo cappuccio di cuoio, annodando i lacci con esegarata fretta. "Mi dispiace averlo spaventato." Galahad era di nuovo dietro di lui e questa volta Mordred non aveva scuse per continuare ad evitarlo. "Ricordatevelo la prossima volta," sbottò, particolarmente conscio dell'avere addosso degli abiti orrendi. Dalle Orcadi aveva portato per sé le tuniche che sua madre aveva cucito personalmente, con tanto di pesanti mantelli, per camuffare la gobba sulla sua schiena, ma quella mattina aveva semplicemente indossato una delle tuniche che Morgana gli aveva regalato (probabilmente rubandola a qualcun altro) e che mostravano la sua schiena in tutte le sue deliziose qualità. "Come si chiama?" domandò Galahad, riprendendosi dalla cortesia dell'altro cavaliere. "Teofrasto." Gli occhi ridicolmente azzurri di Galahad parvero allargarsi ancora di più. "Come il botanico? Il botanico greco, giusto?" esclamò, con un esagerato entusiasmo. "Ha studiato anche le rocce, ma sì, principalmente le piante." "E' questo che studiate con vostra zia?" "No," ammise Mordred. Morgana, così come Morgause, non avevano mai approvato i pomeriggi spesi a raccogliere fiori e bruchi. "Come fate a sapere che studio con mia zia?" "Vi ho notati un pomeriggio, tra i libri di sir Kay." L'idea che sir Galahad potesse sedersi ad un tavolo ed osservare lui lo fece improvvisamente sentire a disagio. "Voi avete dei falchi?" domandò, per cambiare argomento. "No. Ma avevo un gatto." Di male in peggio. "I gatti sono fastidiosi." "Non questo," sorrise Galahad, "anche se non era proprio mio. Ma pareva che si trovasse bene nelle mie stanze." "Non ci si può fidare dei gatti." "Forse un giorno tornerà." Mordred strattonò le redini del proprio cavallo, con irritazione. Non gli capitava spesso che qualcuno si fermasse a parlare con lui (anche se statisticamente parlando era più probabile che Galahad decidesse di chiacchierare con lui piuttosto che qualche altro anonimo cavaliere) capitava ancora di meno che qualcuno parlasse di lui. "Devo riportare Teofrasto assieme agli altri." E prima che Galahad potesse anche solo proporre di tornare assieme a lui, Mordred salì a cavallo e ripartì verso Camelot. *°*°* Che cosa sto facendo? Dentro di sé aveva la risposta. Stava leggendo una vecchia pergamena che aveva miracolosamente salvato dalle punitive pulizie di Morgana. E stava osservando Galahad. Dalla finestra di Morgana, Mordred riusciva a vedere il piccolo cortile interno in cui i cavalieri si addestravano. La Fata Morgana aveva esplicitamente chiesto quella stanza proprio perché, e queste erano le sue testuali parole, "Non c'era niente di meglio che spiare qualche cavaliere sudato dopo una dura giornata di lavoro". Ed ancora Mordred non aveva la minima idea di quale fosse l'ufficioso, o ufficiale, lavoro della zia. Dunque, sì, stava spiando Galahad mentre questi si allenava e rideva con Bors e Perceval. Dovevano essere imparentati, in qualche modo, forse cugini, ma tenere conto di tutti i parenti di Lancillotto era quasi più difficile del conteggiare quelli di Artù. Perceval parò un colpo di Bors particolarmente meschino e subito dopo lanciò la propria spada a terra e si lanciò sul cugino Galahad, atterrandolo. "Ho sconfitto il grande Galahad!" rise Perceval mentre lo sconfitto, altrettanto divertito, tentava di scrollarselo di dosso. Si comportavano come dei ragazzini. E se ne accorse anche sir Bors perché il cavaliere si limitò a scuotere il capo ed ad aiutarli ad alzarsi. E Galahad lo abbracciò. Lo stava abbracciando. Sir Galahad era sempre gentile. E toccava sempre tutti. Stringeva le mani con i propri cugini, baciava le mani delle dame, abbracciava i compagni d'arme, metteva bracci attorno a spalle sconosciute- toccava tutti tranne lui. Quando Mordred arrivava Galahad si manteneva sempre a rispettosa e cortese distanza. "Lo odio." "Di chi stiamo parlando?" domandò la voce di Morgana che sicuramente aveva tra le abilità nel proprio curriculum anche la capacità di arrivare continuamente alle spalle delle persone senza essere notata. "Sir Galahad." "Perché odiarlo? Non era lui ad averti nutrito quando eri un gatto?" "Non dovreste parlare di cose del genere come se fossero normali!" "Oh, caro, è normale che tu ti senta attratto da lui, dopotutto è un bell'uomo e-" "No!" sputacchiò Mordred, arrossendo. "Intendevo che non dovreste parlare dell'essere trasformati in animali come se fosse qualcosa di normale. Ed io non sono attratto da lui." Le perfette sopracciglia nere di Morgana balzarono in alto di almeno due pollici ciascuna. "Ed anche se, e sottolineo se, questo fosse il caso- bhè, mi avete visto." "Oh no, ti prego, chiamami quando hai finito con la filastrocca del oh, quanto sono brutto! oh, non riesco a guardare la mia immagine riflessa, oh, la mia gobba e, oh, gli occhi troppo grandi!" con un sospiro drammatico ed un finto svenimento, Morgana si lasciò cadere su una delle ricche poltrone che adornavano la stanza. A volte Mordred la odiava ferocemente. "Non ho gli occhi troppo grandi vero?" "Ed anche se fosse? Sei il figlio del re. Un bastardo, certo, ma chiunque andrebbe a letto con il figlio del re. Basta evitare le candele e le torce e, puf, sei come tutti gli altri al buio." Quello era proprio ciò di cui aveva bisogno per la propria autostima. No, Morgana non capiva. "Voglio solo che Galahad mi tratti come tutti gli altri:" Che non eviti di toccarmi come se avessi la peste. "Zia Morgana, dovete trasformarmi." "Come prego?" domandò la donna, scoppiando a ridere. "Non di nuovo in un gatto, ma- non lo so, in qualcosa di migliore." "Se dovessi trasformarti in qualcosa di migliore sarei costretta a trasformarti in una tartina al limone. O in una donna." Ebbe un lampo di gioia illuminata. "O in un delfino!" Mordred non aveva davvero pensato a ciò che stava chiedendo, ma voleva semplicemente che Galahad lo toccasse e lo vedesse non come quella creatura deforme che era ora, ma come qualcosa di bello e di desiderabile. Non che lui fosse attratto da Galahad. No. Assolutamente no. Anche se, trasformato in donna, avrebbe avuto più possibilità di conquistare Galahad perché a tutti i cavalieri (a parte sir Bors, a quanto pareva) piacevano le donne. Non che lui volesse davvero conquistarlo. Morgana aveva un laboratorio segreto. Se Mordred non fosse stato così emozionato probabilmente si sarebbe messo a ridere. Non aveva la più pallida idea di come si arrivasse al suddetto laboratorio, perché Morgana l'aveva costretto a bendarsi, ma almeno sapeva che esisteva e che quindi Morgana aveva davvero la possibilità di esaudire quel suo unico desiderio. Il laboratorio non aveva aperture all'esterno e tutta la luce proveniva da tue torce fumose e da un piccolo camino. Alle banali mura di pietra c'erano scaffali in legno elegante e su ogni mensola vi era un'enorme quantità di boccette di terracotta ed erbe essiccate. C'era anche quello che sembrava un occhio umano, ma Mordred preferì non indagare. "Eccola qui," esclamò la zia, prendendo una scatolina di legno ed aprendola. Al suo interno vi erano delle striscioline scure che, almeno alla vista, apparivano come dura carne essiccata. "Masticala tutta," lo istruì Morgana, prendendo una delle striscioline e passandogliela. "Nel giro di un'ora sarai la cosa più bella di Camelot." Mordred mise la cosa in bocca, arricciando il naso al gusto aspro di limone che quasi gliela fecero sputare. Ma resistere. Perché era ciò che voleva, giusto? Sì, lo era. Mordred non percepì il momento in cui la trasformazione accadde. Capitò improvvisamente e con una totale assenza di fumo o farfalline colorate, grave mancanza, almeno secondo lui, in un incantesimo. Un attimo prima sentiva lo schienale della poltrona di Morgana sulla propria gobba e qualche secondo dopo poteva tranquillamente accoccolarsi sul mobilio senza dover preoccuparsi del fastidio o del dolore. Avere la schiena completamente dritta (e non essere un gatto) era un'esperienza del tutto nuova e decise che meritava di essere esplorata in solitudine per qualche secondo. Si alzò in piedi e si mise davanti all'ampio specchio di Morgana mentre la zia trafficava nell'anticamera con una spaventata damigella che le aveva mandato delle tartine disgustose. I vestiti da cavaliere pensavano dalle sue spalle, ampi come una coperta. Si toccò il petto e sentì il piccolo seno meravigliato dal fatto che fosse morbido, ma indolore. Appoggiò le mani sui propri fianchi che non avevano più gli scomodi spigoli di una volta. Sì, si sentiva a disagio, si sentiva più basso e non era sicuro che il seno lo soddisfacesse a pieno, ma almeno poteva guardarsi allo specchio. Aveva un viso diverso che Morgana si era premurata di dargli per impedire che qualcuno lo riconoscesse. Le labbra erano ora piene e rosse ed il naso era tornato diritto. Ora aveva davvero gli occhi troppo grandi. "Soddisfatto?" domandò Morgana, apparsa dal nulla come suo solito (o semplicemente entrata molto silenziosamente). "Credo di sì." Sentire la propria nuova ed acuto voce lo fecero sobbalzare. "Bene, Morrigan, mia giovane apprendista in visita a Camelot, direi che è ora che tu vada a provare il tuo nuovo corpo. Prendi un mio vestito e buttati nella mischia, giovane damigella." Fu con fin troppa soddisfazione che Morgana sprecò ben un'ora della trasformazione di Mordred a cercare l'abito migliore che potesse abbinarsi alla sua nuova capigliatura rossiccia. *°*°* Mordred sospirò. Inspirò ed espirò di nuovo. Aveva già incontrato sir Kay e sir Bors e nessuno dei due lo aveva riconosciuto. Come da programma, si era presentato come Morrigan, damigella che era venuto a passare qualche giorno assieme a Morgana per poi dover tornare di nuovo ad Avalon. Aveva anche incrociato sir Agravaine che aveva flirtato con lui, con grande orrore di Mordred. Inspirò ed espirò. Galahad stava osservando i falchi. Come si addiceva ad un sovrano del calibro di re Artù, Camelot aveva una due falconerie distinte, una per i falchi pellegrini e gli astori del re e della regina, ed una leggermente più grande in cui si trovava anche Teofrasto. Mordred passava parecchio tempo con Teofrasto e gli altri falchi, tanto che c'era addirittura un falco pellegrino che aveva imparato a conoscerlo e che Mordred segretamente chiamava Aristotele (il vero nome che gli era stato dato era troppo banale: si chiamava semplicemente Falco). "Sir Galahad?" Galahad si voltò verso di lui e Mordred non notò segni di riconoscimento nei suoi occhi. "Milady?" domandò il cavaliere, aggrottando leggermente le quasi invisibili sopracciglia bionde. "Ci conosciamo?" "No, assolutamente no," rispose subito Mordred poiché quella domanda, Ci conosciamo? era sembrata più veritiera di una semplice formula di cortesia. "Ma forse mi avete vista nel castello. Sono un'apprendista di Morgana ad Avalon, il mio nome è Morrigan." "E' un piacere conoscervi." Galahad gli prese la mano e la baciò. Quello - quello era ciò che Mordred aveva sempre voluto, si rese conto. Essere come gli altri, essere toccato come Galahad toccava gli altri, avere quel sorriso che Galahad riservava agli altri e non aveva mai fatto con lui. Si sentì arrossire, ma non se ne preoccupò. Era sicuro che la maggior parte delle dame arrossiva quando Galahad baciava loro la mano. "Vi intendete di falchi e astori?" domandò Mordred. "Non io," rispose l'altro senza aggiungere ulteriori spiegazioni e il figlio di Artù si sentì irritato e preso in giro. Non era così che sarebbe dovuta andare. Si ricordò però di essere una dama e decise di fare ciò che le dame facevano tutti i giorni. "Potete riaccompagnarmi al castello?" Anche se con riluttanza, mascherata da un brillante sorriso, Galahad annuì e porse il braccio al cavaliere trasformato in dama. Il tocco del braccio del francese era caldo e piacevole e Mordred si chiese se suo fratello Gaheris non avesse ragione, se lui non fosse davvero affamato di contatto umano. Che cosa stupida. Galahad chiacchierò del tempo, della nobiltà di sir Bors e della bellezza dei tramonti. Non era la conversazione più entusiasmante che Mordred avesse avuto con Galahad, ma almeno il cavaliere non si teneva più a distanza ed era quello che aveva voluto, aveva ottenuto ciò che voleva. "Temo che ora mio padre necessiti la mia presenza. Vi rivedrò al banchetto di domani sera?" Mordred sentì il proprio viso illuminarsi. Galahad non gli aveva mai chiesto nulla di simile e lui non aveva mai pensato prima di volere che lui lo facesse. Con entusiasmo, annuì. Forse sua zia Morgana non aveva tutti i torti. *°*°* "Mi serve dell'altra pozione."
Morgana non parve particolarmente impressionata dalla richiesta del nipote e si limitò a bofonchiare un secco "no". "Perché no? Ne ho bisogno. Ho promesso che Galahad avrebbe visto Morrigan questa sera." "Allora diremo a tutti che Morrigan si è fatta mangiare da uno dei coccodrilli del castello." "Che cosa sono i coccobirilli?" Morgana sbuffò (povera donna, vivere in un simile mondo di ignoranza). "Dei draghi. Molto brutti. Che lavorano a maglia nel tempo libero e mangiano le damigelle. E ti darò davvero in pasto a loro se non mi lasci assaporare le mie fragole in santa pace." Ma il nipote aveva una missione, uno scopo, ed aveva molta più resistenza di chiunque altro nella sua famiglia. Con difficoltà, si inchinò davanti alla propria zia. "Sarà l'ultima volta." "L'ultima volta? E quando rivedrai Galahad nei corridoi e lui tornerà ad evitarti che cosa farai? Quando passerai davanti ad un pozzo e rivedrai la tua gobba che cosa farai?" "Ve lo prometto, zia, l'ultima volta," si sforzò Mordred, sapendo che la strega aveva ragione. Era stato bello vivere come qualcun altro. Non solo perché per una volta aveva potuto avere un corpo perfetto, ma anche perché non era stato Mordred. Non era stato obbligato dalla propria deformata anima a rispondere sgarbatamente ad ogni domanda, non aveva dovuto tenere gli occhi fissi davanti a sé mentre passava nel cortile per evitare di vedere quelli degli altri fissi su di lui. "D'accordo, ma in cambio dovrai smetterla di lamentarti." Con estrema, ma soddisfatta, fatica, Mordred si rialzò e si pulì brevemente le vesti. "Sarà l'ultima, dico davvero. Distruggerò le altre, se necessario," sbottò Morgana e gli ordinò di chiudere gli occhi. Per precauzione lo bendò e poi lo spinse fuori dalla sua stanza. Nell'anticamera vi era una damigella, Mordred sentì il suo sospiro di sorpresa, ma la fanciulla non disse nulla, chiaramente abituata ai bizzarri modi della sua dama. Qualche minuto dopo Morgana tornò a prenderlo e gli mise in mano una di quelle striscioline magiche e stoppose. "Prendila prima della festa, seduci il tuo cavaliere e, santo cielo, portatelo a letto così finalmente mi lascerai in pace." Mordred non voleva- d'accordo, forse voleva tutto quello e forse come Morrigan poteva farlo. Aveva persino la benedizione della zia quindi non aveva più problemi davanti a sé. Tranne per il fatto che il castello intero parlasse di come Galahad fosse puro e casto quanto dama Lyonesse e che si sarebbe concesso solo ad una fanciulla veramente speciale. Pareva quasi una sfida. Con la barretta magica nella bisaccia, Mordred rubò un meraviglioso abito rosso dall'armadio della zia, nascondendolo in una bisaccia, e corse dal proprio astore. L'aveva fin troppo trascurato in questi giorni, meditò, passando dalle cucine a prendere qualche pollo anche per gli altri falchi. Si trovava nella falconeria quando, poiché la fortuna o forse la sfortuna era dalla sua parte, incontrò Galahad. "Mordred," esclamò il francese e quasi gli corse incontro. Mordred dovette abbassare gli occhi e controllare di non essere un gatto o una fanciulla perché non era mai capitato prima d'ora che qualcuno lo salutasse con tanto entusiasmo. (D'accordo, avrebbe dovuto capire di essere ed apparire ancora come se stesso quando Galahad l'aveva effettivamente chiamato per nome, ma era stato troppo sconvolto per farlo). "Ieri eravate scomparso." L'innocenza sul volto di Galahad lo fecero quasi scoppiare a ridere. "Avevo delle cose da fare. Altre cose." "Sono contento che non abbiate abbandonato Teofrasto ai paggi. Non penso lo nutrano come lui vorrebbe." "Certo che no," si ritrovò a sorridere Mordred. "E' viziato." Parlare con Galahad fu più semplice quel giorno. Il cavaliere francese si teneva ancora ad una rispettosa distanza, ma almeno Mordred lo aveva avuto accanto a sé per poche ore e lo avrebbe avuto di nuovo quella sera stessa. Cosa gli importava che Galahad non lo volesse con quel corpo? Forse se in futuro avesse supplicato di nuovo Morgana avrebbe potuto avere dell'altra pozione. La voce di Galahad interruppe nuovamente i suoi pensieri e ciò che gli disse fu così bizzarro che Mordred, per un momento, lasciò perdere i colli di pollo con cui stava nutrendo Teofrasto. L'astore non si diede pace fino a che non riuscì a recuperarli ed a ingoiarli, ignorando il proprio padrone. "Sir Bors sostiene che dalla carne lasciata sola nascono le mosche. Questo è vero perché ho notato anch'io che accade, eppure è come se qualcosa mancasse. Ho visto uccelli nascere dalle uova di altri uccelli, alberi dai semi e cani dal altri cani, ma mai un cane nascere da un qualcosa che non fosse un altro cane." Il volto di Galahad era completamente arrossato ed il cavaliere respirava pesantemente come dopo una corsa, come se fosse esploso improvvisamente con quell'accozzaglia di parole per poi pentirsi della propria audacia. "Sicuramente avete ragione," ammise Mordred, legando nuovamente Teofrasto e recuperando il sacco della carne. "Cani femmine danno i cani, uccelli femmine daranno gli uccelli ed immagino che alberi femmine diano altri alberi. Avete mai notato che il fiore che diventa frutto ha sempre quella piccola parte allungata ed ingrossata che invece non c'è mai nei fiori che non diventano frutto? Questo non significa necessariamente che quella parte caratterizzi un fiore femminile perché ho visto anche fiori con essa che non sono divenuti dei frutti, ma mai il contrario." Gli occhi di Galahad brillavano così tanto che il principe bastardo si dimenticò della propria eredità, dei suoi scopi e del proprio aspetto. Tutto quello che voleva era ciò che aveva e stava ottenendo. "Dovremmo chiudere della carne in una scatola e controllare che le mosche, ed immagino siano mosche femmine, non ci arrivino-" "-così da dimostrare che dalla carne non nascono le mosche, ma che le mosche nascono solo da altre mosche," completò Galahad, annuendo. "E credi che potremmo provare a vedere se riusciamo a mescolare gli elementi come proposto da Aristotele?" "Leggete Aristotele?" Galahad sorrise, imbarazzato e forse con una punta di speranza. "Sì, qualcuno mi parlò di Aristotele molti anni fa." "La prima cosa che mia madre mi regalò fu un trattato sugli animali di Aristotele," replicò Mordred e d'improvviso si bloccò ed il sorriso svanì dalle sue labbra. Che cosa stava facendo? Non erano così che dovevano andare le cose. Perché stava parlando con Galahad (Galahad che era educato e gentile, ma ancora distante) quando poteva essere Morrigan ed avere da Galahad ciò che voleva? Certo, Galahad non aveva parlato con Morrigan di Aristotele o Teofrasto, ma solo perché non sapeva che la dama ne era appassionata esattamente quanto Mordred. Gli bastava semplicemente divenire Morrigan e mostrare all'altro cavaliere che, se avesse voluto, avrebbe potuto avere tutto ciò che voleva da lui: un bel corpo ed una mente affine con cui parlare. Quando il francese aprì bocca, con quell'innocente e imbarazzato entusiasmo che l'aveva caratterizzato poco prima, Mordred si affrettò a scusarsi e correre verso il castello. Aveva una pozione da prendere ed un vestito da indossare.
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Il compleanno di Ginevra era un'occasione particolare e degna di festa e, da sovrano qual era, Artù aveva dato il meglio di sé e di Camelot per rendere il banchetto memorabile. Aveva persino fatto chiamare a corte la dama Nimue che subito aveva iniziato a destreggiarsi con luminosi fuochi scoppiettanti. (Almeno fino a che Morgana, gelosa delle attenzioni alla maga del lago, non li aveva sabotati e dati in pasto ai cani).
Mordred si divertì. Nei panni di Morrigan rise sguaiatamente e si appoggiò ai bracci di cavalieri sconosciuti per poi ritrovarsi accanto a Galahad. Bevve molto e rise molto. Le dame chiacchieravano con lui ed erano sincere come mai erano apparse con lui quando aveva il suo vero aspetto. I cavalieri facevano la fine per invitarlo a danzare anche se lui non aveva la minima idea di quali fossero i passi. Ma la cosa più importante fu che Galahad si inchinò davanti a lui e danzò con lui per ore, ignorando le altre dame. "C'è qualcosa di familiare in voi," disse a Mordred, nel bel mezzo di un ballo, con aria serena, ma leggermente distratta. Mordred si sentiva euforico (o forse aveva bevuto troppo). Aveva voglia di abbracciare re Artù e dirgli che ora poteva avere una bellissima figlia da dare in sposa ad un bellissimo lord e nessuno si sarebbe più pentito di nulla. Voleva poi obbligare il padre a nominare Galahad il suddetto bellissimo lord ed ancora, nessuno si sarebbe più pentito di nulla o di lui. Aveva voglia di ridere e quando Galahad lo raggiunse con della frutta Mordred si chinò su di lui e succhiò i chicchi d'uva direttamente dalle sue mani, divertito nel vedere le guance dell'altro arrossarsi velocemente. "Balliamo ancora, sir Galahad." "Non vorrei monopolizzarvi, lady Morrigan. So per certo che sir Perceval ucciderebbe per un ballo con voi." Il cavaliere aveva gli stessi occhi distratti di poco prima e la bocca aveva assunto una piega severa e turbata. "Non fate il difficile." "Devo cercare un amico," continuò Galahad, districandosi dall'ubriaco abbraccio di Mordred. "Un amico? I vostri amici sono tutti qui." Galahad ebbe la decenza di fingere di guardarsi intorno prima di rispondere con: "Sir Mordred non è presente." La frase fu come uno schiaffo per l'altro e con essa parte dell'ubriacatura svanì. "Mordred non è vostro amico. E' sempre scortese." "E' scortese solo perché gli altri sono scortesi con lui." "Che sciocco che siete, lui è sempre scortese con voi anche quando siete gentile come una regina." Il volto di Galahad si rabbuiò. Mordred avrebbe voluto assaporare quel momento tutto suo in cui, finalmente, il vero se stesso riusciva a captare una reazione violenta da parte dell'altro, ma non vi riuscì. Si sentì in colpa, freddo. "Vi riporto nelle vostre stanze, lady Morrigan." "Posso giungerci anche da solo- sola." Ignorando il francese, Mordred si incamminò verso le proprie stanze. Era troppo ubriaco per capire che, in qualche modo, avrebbe dovuto inventarsi una scusa perché non poteva certo condurre Galahad nelle vere stanze poiché quelle appartenevano, notoriamente, al vero Mordred. Galahad infatti se ne accorse perché prese delicatamente il polso di Morrigan. "Le vostre stanze sono quelle di Mordred?" gli domandò. Gli occhi immensamente grandi ed immensamente azzurri erano particolarmente lucidi. Era strano, perché Galahad non aveva bevuto nulla di alcolico quella sera. "Voi siete la sua amante?" domandò improvvisamente il francese, arrossendo. Non fu l'alcool a far ridere Mordred, ma fu il modo disperato e sorpreso con cui la richiesta era uscita. "Chi potrebbe volere Mordred come amante? Chi? Non di certo io. Anzi, se potessi vorrei non vederlo mai più." Oh, l'alcool. Mordred avrebbe dovuto ricordarsi per il futuro che essere una donna ed essere più minuta comportava anche una minore resistenza alla potenza dell'idromele. Si sentiva girare la testa e voleva vomitare. Su Galahad possibilmente. "Perché lo odiate così tanto?" "Non capireste," sbottò il principe, tentando di aprire la porta senza risultati. Le mani di Galahad si appoggiarono alle sue e lo aiutarono, ma quando la porta fu spalancata non lasciò la presa. "State tremando. Dico davvero, lady Morrigan, state tremando." Ed era vero. E Mordred riconosceva la sensazione in quel momento, annebbiato da bevande straniere, più che mai. Sentiva le proprie gambe allungarsi, il seno cedere e- ma non era possibile! Avrebbe dovuto avere ancora un'ora intera per essere la bella Morrigan, perché stava accadendo tutto adesso? Forse Morgana aveva fatto qualcosa con la pozione o forse l'acool mescolato ad essa avevano accorciato la sua durata? "Dovete andarvene, Galahad, ora!" "Non posso lasciarvi quando-" le parole di Galahad si persero nel silenzio e Mordred seppe che la trasformazione era avvenuta. E cosa c'era di più ridicolo dell'avere il proprio corpo deforme fasciato in un abito da donna? Si sarebbe ucciso. Ma solo dopo aver ucciso Morgana. La voce innaturalmente calma dell'altro interruppe il suo momento di meritato auto compatimento. "Sir Mordred, lasciate che vi aiuti a cambiarvi prima che qualcuno ci veda qui fuori." Ragionevole ed educato come sempre, il francese lo aiutò ad entrare nella stanza senza inciampare nel lungo vestito rosso e dorato. Non disse nulla sul fatto che una spallina della vesta si era rotta o sulle mani di Mordred che ora coprivano il proprio volto (la vergogna sarebbe stata troppa per chiunque). Galahad chiuse la porta e si sedette accanto all'altro cavaliere. "Quindi Morrigan non è mai esistita. Siete sempre stato voi?" Mordred annuì. "Posso chiedervi il perché?" Mordred non aveva risposte o forse ne aveva troppe. Avrebbe potuto semplicemente indicare il proprio corpo e dire che era stanco di odiarsi allo specchio, avrebbe potuto indicare Galahad ed aggiungere che l'aveva sognato e che l'aveva desiderato perché era stato gentile con lui in qualsiasi forma, come Mordred, come gatto o come Morrigan. Non riuscì a dire nulla di tutto questo e si limitò a lasciar cadere le braccia in un gesto di resa. "L'avete fatto per questo?" continuò Galahad e portò una mano a toccare, delicatamente, la gobba di Mordred. Quest'ultimo sussultò e quasi cadde dal letto sul proprio vestito per la foga di alzarsi. "Pensate che io non la veda? Credete che bastino dei vestiti esageratamente decorati perché quella sparisca. Non è così, Mordred. Io la vedo ed è parte di voi e, davvero, non capisco quale sia il vostro problema." "Andatevene." La voce non uscì gelida come Mordred avrebbe voluto, ma si sarebbe accontentato. "Non ci conosciamo nemmeno. Sono stato uno sciocco, inseguivo un'idea." Galahad si alzò, ma non per andarsene, camminò fino alla porta, tornò verso il letto ed infine si sedette nervosamente ad una poltrona che si trovava accanto al camino già spento. "Oh, Mordred. Sono stato innamorato di voi fin da quando avevo sei anni, come potete dire che non ci conosciamo?" Mordred sapeva di non avere la memoria migliore del mondo. Al massimo poteva dire di avere una vaga memoria selettiva che eliminava ripetutamente tattiche romane per farci entrare inutili elenchi di nomi di insetti. Aveva sempre avuto difficoltà anche con nomi e facce perché c'era stato un momento in cui i suoi fratelli gli avevano mostrato che il suo corpo era diverso da quello degli altri e deforme e lui aveva smesso di osservare troppo i visi delle persone, temendo che loro potessero rinfacciarglielo. Per questo fu difficile per lui tornare all'età in cui Galahad doveva aver avuto sei anni. Dovevano essere stati approssimativamente quindici anni fa. Aggrottò le sopracciglia nello sforzo di scavare in ben quindici anni di vita e ritornare a quando lui stesso ne aveva solo nove. Quando aveva avuto nove anni aveva viaggiato con la madre. *°*°* Morgause non si era mai davvero rassegnata nell'avere un figlio che fosse diverso dal perfetto figlio di re che doveva essere. Per questo capitava spesso che si portasse dietro Mordred in lunghi viaggi per la Britannia alla ricerca di maghe, stregoni o preti che potessero avere una soluzione. Quell'anno toccò ad un giovane prete che si diceva potesse guarire qualsiasi male. Mordred e Morgause, con l'intero seguito della donna e qualche suo cavaliere, viaggiarono per due settimane prima di raggiungere il monastero di Gwyndi. Il luogo era incantevole, circondato di campi coltivati e boschi curati dai monaci stessi che avevano avuto il permesso, da parte del re, di poter cacciare in essi. Avere un noto guaritore aveva permesso al monastero di arricchirsi enormemente nonostante il guaritore non chiedesse mai alcuna ricompensa dai suoi pazienti. Morgause aveva lasciato Mordred nel giardino per poter andare a parlare personalmente con questo famoso santone. Il giardino era bello, come tutto il resto. Vi erano cespugli di rose rosse ed arancioni e un piccolo salice piangente che stava crescendo riverso su una fontana di marmo senza più acqua nella quale qualche uccello aveva fatto un nido. Sul bordo della fontanella, seduto scomodamente, vi era un bambino. Era il bambino più piccolo che Mordred avesse mai visto (a parte il suo fratellino Gareth che era ancora un neonato) e per un attimo l'aveva scambiato per una ragazza. Stava martoriando dell'erba con le sue mani sottili e pallidissime e ogni tanto si toglieva i capelli biondi e troppo lunghi dal viso. E stava piangendo. Se non lo avesse sentito piangere probabilmente Mordred non avrebbe mai avuto il coraggio di avvicinarsi a lui. "Aristotele dice che l'erba è fatta di terra, ma secondo la sua teoria credo che abbia anche un po' d'aria altrimenti non volerebbe quando la lanci." Il bambino si accorse finalmente della sua presenza e sobbalzò, lasciando cadere il rovinato filo verde. "E' un tuo amico?" "Chi? Aristotele?" Il bambino minuto annuì e Mordred rise. "No. E' un filosofo. Ha scritto delle cose su come funziona il mondo." "Ha scritto cosa succede alle mamme quando vengono portate qui?" Mordred non aveva la più pallida idea di che cosa succedesse alle mamme che venivano portate in quel monastero, ma forse erano come lui. "Se la tua mamma è come me forse è qui per essere migliore." "Come te?" Mordred si strinse nelle spalle e lasciò che lo sconosciuto lo esaminasse. Che vedesse il suo piede zoppicante e la curvatura della sua schiena. "No, mia madre tossiva," rispose, infine. E poiché Mordred aveva conosciuto una pescatrice che aveva iniziato a tossire e non aveva più smesso, si sedette accanto a quel piccolo bambino e gli prese la mano. Non sapeva cosa avrebbe fatto se sua madre si fosse messa a tossire, forse avrebbe pianto anche lui, anche se era difficile immaginare la terribile Morgause in una qualsiasi situazione di malattia. E così gli raccontò che cosa accadeva alle madri che tossivano e che cosa poteva non accadere. Gli narrò di quello che aveva letto nell'unico regalo che Morgause gli avesse mai fatto, dell'importanza delle domande giuste e del sapere sempre quello che c'era da sapere. Gli spiegò che le persone mentivano sempre e che nessuno avrebbe mai potuto assicurarti nulla poiché la mente di ciascuno doveva avere quel compito. Passò l'intero pomeriggio con un bambino preoccupato e troppo pallido e la sera vide il famoso guaritore e poiché non vi furono risultati, negli occhi delusi di Morgause, dimenticò tutto. *°*°* "Mia madre era molto malata e nessuno voleva spiegarmi la verità. Voi vi siete seduto con me e mi avete narrato di vita e morte. Mi avete detto la verità e per qualche ora ho dimenticato ciò che stava accadendo nella mia vita. Mi avete parlato di Aristotele- continuavate a parlare."
C'era un sorriso affettuoso sul volto di Galahad e la cosa turbò Mordred così profondamente che si costrinse a sedersi sul proprio letto prima di finire a terra. "Non vi avevo riconosciuto. Non mi ricordavo." "Lo immaginavo." "Avete detto-" Mordred deglutì. Anni di gelido ferro tornarono a galla. Tutte le voci che dentro di sé gli ricordavano che uno come lui non solo non meritava l'amore di nessuno, ma non meritava nemmeno di provarlo per qualcuno. Perché tutte le storie d'amore e di cavalieri avevano come protagonisti essere bellissimi e puri e lui non poteva arrogarsi il diritto di immaginarsi come loro. "Ho detto che sono stato innamorato di voi per tutto questo tempo. Di un ideale, all'inizio. Avevo questa immagine di voi perfetta e meravigliosa che mi ha portato a cercare sempre la verità di tutto anche quando questa non è unica o appare fumosa. E poi sono giunto a Camelot. Non sapevo ci sareste stato anche voi, allora non sapevo che foste il figlio di Artù. All'inizio non vi riconobbi, poiché la vostra figura si era rimodellata nella mia mente, ma quando vi sentii parlare seppi che eravate voi. Eppure eravate diverso da come vi avevo costruito. Volete sapere cosa ho pensato?" No, Mordred non voleva saperlo. "Ho pensato che vi preferivo così." Quello era troppo. "Non potete dire queste cose!" "Chi me lo impedisce?" domandò Galahad, alzando il mento. In quel momento il suo voltò ricordò enormemente l'arroganza del padre. "Se è davvero questo ciò che pensate, se non si tratta di pena o di menzogna, perché evitavate di toccarmi?" "Voi-" ed a questo punto le guance di Galahad tornarono di un innaturale rosso. "-non siete mai sembrato particolarmente felice della mia presenza. Temevo che vi avrei dato fastidio o che, facendolo, avreste saputo tutto di me." "Io non so nulla di voi," sussurrò Mordred, sentendosi sconfitto. Era stato così assorbito da se stesso che si accorse che era vero, non sapeva abbastanza di Galahad. L'altro cavaliere parve capire perfettamente i suoi pensieri perché si alzò dalla poltroncina e si sedette accanto a lui, lasciando deliberatamente che i propri fianchi si toccassero. La soffice ed elegante tunica azzurra di Galahad contro il ridicolo e liscio vestito rosso da donna. "Non potete amare qualcuno se non amate voi stesso. O se amate troppo voi stesso. Mia madre era sempre solita dire che quest'ultimo era il difetto più grande di mio padre." "Forse è meglio che mi cambi-" Le mani del francese si posarono sulle sue. "Se non sapete nulla di me e- e, insomma, se volete sapere qualcosa di me possiamo provare ad unire i quattro elementi assieme. Come ha detto Aristotele." "Credo che sia la proposta più indecente che mi abbiano mai fatto." Galahad si concesse un breve sorriso prima di alzarsi. "Ora posso aiutarvi a cambiarvi." "Non ce ne è bisogno. Faccio da solo." Non era pronto (e lo sarebbe stato?) a farsi vedere da Galahad il perfetto senza alcun abito addosso. Anche se ora Galahad era diventato Galahad il bambino del monastero, non si sentiva ancora pronto. L'altro cavaliere annuì e, dopo avergli promesso che sarebbe tornato con dell'acqua da bere, uscì dalla stanza. Mordred si strappò velocemente il vestito di dosso, appallottolandolo e buttandolo da parte. Non aveva specchi nella propria stanza e per questo ringraziò il cielo poiché l'ultima cosa che voleva era vedere se stesso proprio ora che la speranza stava iniziando vagamente a sbocciare. Si sentiva stanco, come in una nebbia. Probabilmente avrebbe vomitato tutto quell'alcool prima di andare a dormire, meditò, indossando delle brache ed una camicia e litigando con i lacci. La stanza girava troppo veloce, avrebbe dovuto dirlo a Morgana. "Se volete conoscermi e me lo permetterete, vi aiuterò ad amare voi stesso," esclamò la voce di Galahad, dietro di lui. (Evidentemente Galahad aveva preso lezioni da Morgana su come entrare segretamente in stanze altrui). "Non sono abbastanza sobrio per parlarne," bofonchiò Mordred, lasciando, con una certa riluttanza, che l'altro legasse i lacci della camicia al posto suo. "Avete ragione. Dovreste dormire. Ne parleremo domani." Una volta che la camicia fu completamente chiusa, Mordred si lasciò condurre verso il letto e vi si lasciò cadere sopra. Avrebbe voluto chiedere a Galahad di rimanere con lui, ma la bocca sembrava non funzionare più molto bene così afferrò il suo polso e lo trascinò accanto a sé. Sapeva di dover dire- di dover dire qualcosa, qualcosa di acido nel caso Galahad non volesse davvero stare lì con lui o delle scuse, di dover dare all'altro una via d'uscita perché chi mai avrebbe voluto dormire con lui- ma quello che gli uscì fu: "Sono Agamennone." Galahad, che si era comodamente disteso con tanto di stivali lasciati a terra e testa sul cuscino, sobbalzò sorpreso. "Il gatto?" "Proprio io." "Oh. Questo spiega perché non l'ho più visto. Temevo di essere stato così terribile da farlo scappare." Sono tornato, invece. "Posso chiedervi come avete fatto?" domandò il francese, stendendosi su un fianco, rivolto verso Mordred. "Mia zia. Ha il laboratorio segreto più cliché del mondo." "Credete che Morgana ci trasformerebbe in mosche per risolvere il dilemma della carne in putrefazione?" Mordred ammise che quella era un'ottima idea e che se non fosse stato così accecato da se stesso probabilmente ci avrebbe pensato anche lui (e prima). Imitando la posizione dell'altro, in modo da verlo di fronte, rispose, con un po' di rammarico: "Temo che non mi trasformerà più in nulla. E che voi siate troppo noioso per lei." Ci fu quasi un accenno di broncio sulla bocca di Galahad prima che questi mettesse da parte la faccenda e tornasse al momento. Portò, lentamente, una mano sulla schiena dell'altro. "Posso?" No, no, no, no- "Certo, se a voi non disgusta chi sono io per lamentarmi?" rispose Mordred, con il cuore che batteva a mille. "Bene." La mano si posò e, con una leggera pressione, il principe si ritrovò con la fronte contro quella di Galahad ed un proprio braccio attorno alla sua vita. "Saprò di alcool," meditò perché di sicuro da così vicino Galahad poteva addirittura sentire i gusti di vini che aveva bevuto. Galahad fece un mezzo sorriso per poi chinarsi e donargli un veloce bacio a schiocco sulle labbra. "Ed è l'unico motivo per cui non vi do' più di questo." fin <3
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