23-11-2010, 14.38.17 | #1 |
Cavaliere della Tavola Rotonda
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Volevo qui riassumere il regolamento ed i partecipanti in merito alla seguente proposta avanzata da Lady Dafne:
PROPOSTA: (A cura di Lady Dafne) Appassionati scrittori e "curiosi" lettori di Camelot, mi è balenata nella testa poco fa un'idea che potrebbe allietare le nostre fredde serate invernali stuzzicando la nostra fantasia. Che cosa ne direste se vi proponessi di realizzare dei racconti "in stile Camelottiano"che abbiano per protagonisti i visitatori di questo forum? Potremmo chiamarli "Annali del Regno di Camelot" e chi lo volesse potrebbe pubblicarvi qualche racconto, a suo gusto e piacere, che narri le gesta dei cavalieri e/o delle dame della "nostra Camelot". Ovviamente chi si presterà ad essere uno dei personaggi di questi racconti dovrà usare un po' di autoironia cercando di "non prendersela" qualora i caratteri del personaggio che gli venisse attribuito gli sembrassero poco adeguati o "poco simpatici". Ciò va detto perchè in ogni racconto che sia degno di questo nome ci deve essere un antagonista. REGOLAMENTO:
PARTECIPANTI: Questo è l'elenco degli utenti che hanno reso disponibile il loro personaggio per i racconti. Fra parentesi è indicato il tipo di personaggio suggerito dai singoli utenti. Personaggi femminili:
Per commentare i racconti, inserire la vostra disponibilità o il vostro racconto, potete utilizzare la seguente discussione: Annali del Regno di Camelot (La discussione) I nuovi racconti, i nuovi partecipanti e le eventuali modifiche alle regole saranno inseriti / aggiornati in questa discussione. BUON LAVORO A TUTTI
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"La Morte sorride a tutti... Un uomo non può fare altro che sorriderle di rimando..." Sito Web: http://digilander.libero.it/LoreG27/index.html Libreria on-line: http://www.anobii.com/people/gelo77/ Ultima modifica di Hastatus77 : 10-10-2011 alle ore 14.13.02. Motivo: Aggiunta Lady Altea |
23-11-2010, 16.31.17 | #2 |
Cittadino di Camelot
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PRIMO RACCONTO: La gara di torte!
Ecco a voi il primo racconto... BUONA LETTURA
personaggi: Lady Talia, Lady Gonzaga, Lady Sibilla e Sir Hastatus Qualche anno fa, sotto le festività natalizie, le dame di Camelot erano solite organizzare un “torneo” culinario: le partecipanti dovevano preparare un dolce, il più buono a detta del cuoco di palazzo sarebbe stato servito alla tavola del re durante il cenone del 24 dicembre. Fin dalla metà di settembre ogni damigella sperimentava, impastava e cucinava dozzine di torte diverse per la felicità dei cavalieri che erano chiamati a giudicare in anteprima quelle prelibatezze. Da un paio d’anni la gara veniva vinta da Lady Gonzaga: il primo anno aveva presentato una torta all’acqua di rose, era talmente buona e particolare che stupì tutta la corte; l’anno successivo era stata la volta del semifreddo vaniglia e lampone… un delizia che si scioglieva in bocca. Era davvero difficile per le altre dame trovare un dolce in grado di superare in bellezza e in bontà quelli di Lady Gonzaga. Lady Sibilla, da sempre appassionata pasticcera non si dava pace: mescolava, montava, sbucciava, cucinava, aromatizzava ogni possibile cibo commestibile alla ricerca del “dolce prelibato”. Passava giorni e giorni ai fornelli tutta coperta di farina… -Talia: “Sibilla, buongiorno! Siete ancora ai fornelli?” -Sibilla, tutta affaccendata e concentrata: “Sì mia cara, voglio vincere io quest’anno! Sto preparando un manicaretto… sentirete che bontà! E’ una ricetta francese ma… gli ingredienti sono un segreto!” -Talia: “Oh mia cara state pur tranquilla con me, io non partecipo… quest’anno ho deciso di preparare delle tisane e dei digestivi piuttosto… A proposito avete sentito che cosa sta preparando Lady Gonzaga?” A Sibilla cadde il cucchiaio a sentire quel nome, si girò di scatto e con fare innocente e apparentemente disinteressato iniziò ad indagare: -“No, non ne ho idea… voi lo sapete? Non che mi interessi ovviamente, ognuna fa la sua torta e poi spetta al vecchio cuoco decidere…” -Talia: “Beh la mia ancella ha parlato con la sua l’altro giorno dallo speziale: cercava l’estratto di anice e cannella. Dice che sta preparando una vera delizia: torta d’arancio farcita con crema alla nocciola e cioccolato”. Sibilla non credeva alle proprie orecchie, come faceva Lady Gonzaga a combinare assieme l’anice e la nocciola Dio solo lo sapeva. Doveva inventare al più presto un dolce eccezionale che colpisse il cuoco e le permettesse di essere notata dal re! Appena Talia se ne fu andata Lady Sibilla indossò il mantello e velocemente uscì dai suoi appartamenti, girò tutto il mercato, acquistò le migliori farine, la frutta più fresca, le spezie orientali più costose e rinomate e carica di ceste e cestini tornò verso casa… Passò poco più di un’ora, Sir Hastatus, di ritorno da un sopraluogo ai lavori di ampliamento dell’acquedotto del Regno, passò casualmente sotto le finestre della cucina di Lady Sibilla. Un profumo intenso e dolce usciva dalle imposte, era inebriante e subito gli venne l’acquolina in bocca: -Hastatus: “Accidenti, che profumino delizioso… con tutto il freddo che ho preso oggi per controllare quei maledetti lavori, un po’ di questa prelibatezza, qualunque cosa sia, sarebbe proprio l’ideale”. Pensando questo aveva già infilato la testa oltre la soglia della porta: -Hastatus: “Milady? E’ permesso? Ehm, Ehm! Sono Sir Hastatus” -Sibilla: “Messere! Qual buon vento vi porta? E’ successo qualcosa?” -Hastatus: “No Signora, non è successo nulla è solo che… beh vedete… insomma…” -Sibilla: “Sì Cavaliere? Che c’è?” -Hastatus: “Beh ho sentito questo profumino, torno da un giro di pattuglia all’acquedotto. Ecco… Oh scusate mia Signora, me ne vado, non volevo disturbarvi, arrivederci!” Sibilla sgranando gli occhi guardò il cavaliere girare sui tacchi ed inforcare la porta: -“Aspettate! Non mi avete disturbata, anzi venite, sedetevi. Vi andrebbe di assaggiare un pezzetto del mio nuovo dolce per la gara culinaria? Siete il primo in assoluto ad avere l’onore di assaggiarlo” -Hastatus: “Signora! Non vorrei sembrarvi sfacciato… però, però accetto volentieri!” Con un sorriso grande come quello di un bambino davanti ad una coppa di gelato alla cioccolata, Sir Hastatus si accomodò su di una seggiola. Subito dopo Sibilla entrò nella sala con un’enorme torta, il cavaliere rimase senza parole tanto era bella! La Lady ne tagliò un pezzo e glielo porse accompagnandolo con del succo di mele caldo aromatizzato ai chiodi di garofano. Sir Hastatus, che fino a quel momento aveva dimostrato tutto il suo contegno, dopo il primo boccone non seppe trattenersi e ne divorò ben 5 enormi fette. -Hastatus: “Milady, questa torta è eccezionale! Vincerete di sicuro ma… che cosa avete messo al suo interno?” -Sibilla: “Non posso dirvelo… è un segreto!” -Hastatus: “Santo Cielo, credo di aver esagerato. Farò meglio ad andare verso i miei alloggi…” Detto ciò si alzò di scatto “Vi ringrazio e vi porgo i miei omaggi” ma facendo il rituale inchino stramazzò al suolo svenuto. -Sibilla: “Santo Paradiso! Sir Hastatus? Sir Hastatus? Forza! Alzatevi!... Cielo non risponde! E’ svenuto!!!!” Lady Sibilla preoccupata si diresse immediatamente verso le stanze di Lady Talia che era da tutti considerata un’esperta di piante officinali e rimedi ad ogni malanno. -Sibilla: “Lady Talia! Aprite per favore! E’ per Sir Hastatus…” -Talia: “Mia cara che succede? Calmatevi!” -Sibilla: “Hastatus è svenuto, non risponde, è nel mio salone. Venite vi prego, fare presto!!” Talia prendendo sottobraccio la sua cesta dei rimedi e dimenticando, per la fretta, il mantello corse appresso a Lady Sibilla. In pochi minuti furono nel luogo ove sir Hastatus giaceva, era immobile! -Talia: “Hastatus! Sibilla, che è successo? Un attentato?” -Sibilla: “No! E’ svenuto mentre se ne stava per andare, così all’improvviso, si è alzato e bum! Stecchito per terra… E’…… vivo??” -Talia: “Ma certo! Che andate pensando???!!! Ha tutta l’aria di essere svenuto, anzi sembra che stia dormendo… ma?? Ha preso dei rimedi soporiferi finché era qui?” -Sibilla: “No! Solo questa torta e del succo di mela, nulla di più!” -Talia: “Fatemi vedere con che cosa avete preparato questo dolce…” Sibilla portò immediatamente Talia in cucina, sopra il tavolo c’erano ancora tutti gli ingredienti avanzati. Talia passò in rassegna ogni cosa soffermandosi di tanto in tanto su qualcosa ma scuotendo poco dopo la testa passando oltre. Di colpo si fermò, sgomberò il tavolo e prese delle bacche viola: -Talia: “Dove le avete prese queste??” -Sibilla: “Dallo speziale! Mi sono costate un occhio dalla testa ma mi sembravano ideali per la guarnizione….” -Talia: “Ma queste sono delle bacche soporifere per i cavalli! Servono per far calmare le giumente partorienti”. -Sibilla: “Oh mio Dio!” e nel contempo le si riempirono gli occhi di lacrime: “L’ho avvelenato!” Entrambe le donne si precipitarono al capezzale del cavaliere che ancora giaceva immobile sul pavimento. -Talia: “Non dovrebbe essere avvelenato, ma si farà una lunghissima dormita, andate a cercare qualche soldato che lo possa adagiare su un letto e che gli levi l’armatura. Io intanto gli preparerò qualche rimedio eccitante, chissà che lo aiuti a svegliarsi prima…” Un’ora dopo, Hastatus era stato liberato dall’armatura ed adagiato sul letto di Lady Sibilla. La dama non lo perdeva di vista un momento, gli bagnava la fronte e gli somministrava periodicamente il rimedio preparato da Talia. Dormì 7 giorni e 7 notti finchè all’alba dell’ottavo giorno si svegliò, debole ma sano e salvo. -Sibilla: “Hastatus! Siete sveglio! Grazie al Cielo!!” -Hastatus: “Che cosa mi è successo? Perché sono qui? Questo non è il mio letto!” -Sibilla: “Vi ricordate quella torta?” -Hastatus: “Certamente, era deliziosa!” -Sibilla: “Per errore conteneva un rimedio soporifero che solitamente si da ai cavalli… involontariamente vi ho avvelenato, ero così desiderosa di vincere la gara delle torte che non ho pensato agli ingredienti che via via aggiungevo all’impasto. Ho commesso un gravissimo errore e voi ne avete pagato le conseguenze!!”. Mentre diceva ciò dei grossi lacrimoni le rigavano le guance. -Hastatus: “Beh Signora, smettete di piangere, adesso avrete la possibilità di vantarvi: AVETE STESO L’INVINCIBILE CAVALIERE DI CAMELOT!!” Si abbracciarono e risero. La gara di torte fu vinta ugualmente da Lady Sibilla con una semplicissima ma buonissima crostata di frutta!
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21-01-2011, 12.48.52 | #3 |
Cittadino di Camelot
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Il destino e l'onore
PRIMA PARTE
“Aprite le porte! Per favore aprite!” Una voce debole attirò l’attenzione delle guardie notturne, saranno state le tre e nessuno aspettava visite. “Aprite!” Questa volta la richiesta fu seguita da un coro di mugolii, sembravano pianti. Le guardie si guardarono, il superiore si sporse dalle mura per controllare da chi provenisse quella richiesta insolita vista l’ora. “Svelti, aprite le porte, c’è un carretto pieno di bambini laggiù, ce ne saranno una dozzina e sono spaventati. Aprite svelti!” ordinò la guardia. “Ghinan, vai a chiamare Sir Hastatus credo che ci sia sotto qualcosa, è insolito che dei bambini viaggino soli nel cuore della notte!” “Sissignore, vado subito” rispose Ghinan, un ragazzotto da poco entrato a far parte dell’esercito di Camelot e per questo assegnato a ricoprire i turni notturni. “Capitano! C’è qualcosa che non va? Mi hai mandato a chiamare e mi sono precipitato, spera che ne sia valsa la pena perché dormivo molto bene” disse Hastatus insolitamente seccato per quella levataccia. “Sir Hastatus, hanno chiesto di entrare a Camelot dei bambini…” rispose il capitano delle guardie. “Dei bambini? Nel cuore della notte? Suvvia…” “Sì Signore, erano una dozzina, sedevano su un carretto trainato da un mulo, li abbiamo fatti entrare, piangevano, erano sporchi e avevano fame. Li ho fatti accompagnare nelle cucine, le cuoche si stanno prendendo cura di loro adesso in attesa di vostri ordini”. “Ben fatto capitano, vado subito a controllare. Voi chiudete le porte intanto, non si sa mai” ordinò Hastatus che in un attivo aveva salutato il sottoposto e si era diretto verso le cucine ansioso di capire che cosa ci facessero dei bambini soli laggiù tra la campagna. “Cavaliere25!? Svegliati, ho bisogno di te”. Sir Hastatus, dopo aver visitato i bambini, aveva subito compreso la gravità della situazione. Non avrebbe potuto contare sull’aiuto degli altri Cavalieri delle Tavola Rotonda perché erano partiti alla ricerca di un drago che mieteva vittime tra la gente di un villaggio nel nord… Gli serviva una mano e, a parte le poche guardie della guarnigione della città, non sapeva a chi rivolgersi. Poi gli venne in mente il giovane scudiero di Sir Guisgard, gliene aveva parlato molto bene una sera alla taverna della città bassa. Per questo Hastatus decise di rivolgersi a Cavaliere25, forse quella sarebbe stata l’opportunità migliore per permettergli di passare da semplice scudiero a valente Cavaliere del Re. “mmm… ahhhh” un grosso sbadiglio comparve sulla bocca di Cavaliere25 “Ragazzo! Svegliati! Non fare tante manfrine, è il tuo superiore che te lo ordina” Cavaliere25 spalancò gli occhi terrorizzato sentendo quelle parole “Signore! Sir Hastatus! Sono ai vostri ordini!” disse balzando fuori dal letto in un secondo. “Vestiti e seguimi, fai presto! C’è una questione urgente da risolvere, il re è indisposto e non può essere disturbato. Il popolo di Camelot è in pericolo”. “Sissignore!” rispose Cavaliere25 ormai sveglio e lucido. “Ti attendo negli appartamenti delle dame di corte, avremo bisogno del loro aiuto. Io ti precedo così avviserò le loro ancelle di svegliarle”. Una mezz’ora più tardi erano tutti seduti vicino al fuoco negli appartamenti di Lady Sibilla. Hastatus, l’unico a conoscere il motivo di quella levata notturna, posava gli occhi su ognuna delle dame lì riunite. C’era Lady Morrigan, la più combattiva tra loro; lady Gonzaga, tenera e dolce, sarebbe diventata un’ottima moglie e madre; Lady Talia, tra tutte era probabilmente la più concreta ed aveva una soluzione per ogni problema; poi c’era Lady Sibilla, simpatica e gentile…Hastatus ricordava ancora la sua faccia mentre si scusava per l’avvelenamento da torta che gli aveva causato. Il cavaliere aveva gli occhi velati di tristezza, sapeva che cosa attendeva tutte loro e lui non poteva far nulla, poi parlò: “Signore, Cavaliere25, vi ho svegliato nel cuore della notte per chiedervi un sacrificio per Camelot e la sua gente. Circa un paio d’ore fa hanno bussato alle porte di Camelot una dozzina di bambini, nessuno di loro superava i 12 anni. Provengono da un paese della costa nel quale c’è un piccolo porticciolo. Ieri mattina, improvvisamente, hanno visto in lontananza sette galee. Erano di uno dei più crudeli capi barbari che Camelot conosca: Virno il Guercio, un essere spregevole assetato di sangue, potere e ricchezze. C’era un trattato di pace con lui ma…lo ha infranto. I suoi scagnozzi hanno invaso il villaggio, hanno ammazzato ferocemente i soldati che facevano la guardia e gli uomini, le donne sono state violentate e brutalizzate ma sono vive e tenute in ostaggio. Quei poveri bambini che sono arrivati qui hanno visto tutto e sono stati inviati qui come ambasciatori”. Tutte le dame tenevano gli occhi bassi, questa dura descrizione le aveva gettate nello sconforto. L’unico a fissare con nervosismo il fuoco era Cavaliere25, stringeva forte una coppa di idromele nel pugno e sembrava sul punto di scoppiare dalla rabbia. “Capisco il vostro sgomento” disse Hastatus sospirando “Virno ha avanzato un richiesta: non è interessato a dichiarare guerra a Camelot, ma ha sentito dire che le nostre donne sono le più belle del mondo e per questo vuole…non vorrei mai dire questo ma devo…vuole che una di voi trascorri una notte con lui e le notti seguenti con ognuno dei capi dei sette clan della sua tribù”. Le donne alzarono gli occhi e li posarono increduli e velati di lacrime su quelli di Hastatus che si maledì per aver dovuto pronunciare quelle cose tanto crudeli e meschine. “Se le sue richieste saranno disattese” continuò Hastatus con la morte nel cuore “Tutte le donne del villaggio saranno trucidate”. Ci fu un lungo silenzio poi “Io! Lo faccio io!” Lady Morrigan, seria in volto, si alzò in piedi. “Sir Hastatus scegliete me, conosco abbastanza bene la natura di certi uomini e in più mi so difendere usando spade e coltelli”. “Anch’io lo farò per Camelot” disse convinta Talia seguita poco dopo anche da Gonzaga e Sibilla. “Signore, il vostro coraggio vi fa onore, colei che andrà da quel porco vivrà dei momenti atroci ne siete consapevoli?” specificò Hastatus “Signore, lo sappiamo bene, ma noi prima di essere donne siamo le dame di Camelot e come tali ora siamo chiamate ad agire per la salvezza del nostro popolo. La vita e l’onore di una donna sono ben poca cosa rispetto a quella di centinaia di altre donne innocenti. Andrò io!” disse Lady Gonzaga. “Milady ne siete sicura? Avete capito che cosa vi attende?” era la prima volta quella che Cavaliere25 parlava, aveva ascoltato in silenzio inorridito. Le donne, secondo lui, non dovevano mai essere trattare così, neppure nei pensieri. Avrebbe voluto prendere quel barbaro e schiacciargli la testa sotto gli zoccoli di centinaia di cavalli. “Si Cavaliere25, vado io!” Il gruppetto si congedò, ognuno con la morte nel cuore. Qualche ora dopo Hastatus decise di tornare a fare visita ai bambini, entrò nella stanza e li vide adagiati in brandine, serenamente addormentati. Accanto a quello che sembrava il più piccolino, avrà avuto sì e no tre anni, era seduta Lady Gonzaga. Hastatus l’aveva cercata anche prima ma non l’aveva trovata, ora era lì, con un sorriso tirato sul viso e qualche piccola lacrima che rigava le guance. Le si avvicinò piano “Milady, siete proprio sicura di ciò che andrete a fare? Ho pensato che potremmo mandare una di quelle ragazze che lavorano alla taverna e sono abituate a “quel genere di cose”. Voi siete così giovane, così bella, non è giusto che un bruto si approfitti di voi”. “Vi prego Hastatus, non insistete oltre, così è deciso!” rispose decisa Gonzaga “Allora Signora, per gli ideali cavallereschi che mi sono imposto di seguire, vi giuro che vi accompagnerò da quel Virno e vi attenderò. Farò in modo che il vostro onore non venga leso oltre chiedendovi ora di accettare la mia proposta di matrimonio. Diventerete mia moglie, se vorrete, e quei brutti momenti passati con quel farabutto saranno dimenticati. Nessuno oserà mai considerarvi una donna poco rispettabile. E se un figlio sarà concepito in quelle ore terribili, io Sir Hastatus, primo Cavaliere del Re, lo riconoscerò e lo alleverò come mio”. (SEGUE)
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21-01-2011, 19.05.21 | #4 |
Cittadino di Camelot
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SECONDA (E ULTIMA) PARTE
Calò la sera mentre si organizzava la scorta che avrebbe accompagnato Lady Gonzaga al villaggio, in tutto era formata da 30 uomini, i migliori che ci fossero al castello in quel momento. Si sarebbero accampati a 100 metri dal villaggio e avrebbero atteso il ritorno della dama. Lady Gonzaga sarebbe stata accompagnata al cospetto di Virno da Sir Hastatus e Cavaliere25 che probabilmente sarebbero stati legati e tenuti a debita distanza dal Capo Tribù e dai Capi Clan. La partenza era prevista per il pomeriggio del giorno seguente. Hastatus, prima di coricarsi, andò negli appartamenti di Lady Gonzaga per sincerarsi che stesse bene. La vide contornata da tutte le altre dame, avevano un’aria seria e cupa, nessuna aveva più sul viso il sorriso. Lady Morrigan avanzò verso Hastatus “Lady Gonzaga ci ha detto della proposta che le avete fatto, siete stato davvero molto gentile, nessuno avrebbe più voluto sposarla e la sua vita sarebbe stata davvero orribile dopo questi tristi giorni” disse Morrigan. “Milady, faccio solo il mio dovere, Lady Gonzaga è stata coraggiosa ad offrirsi e non potevo permettere che la sua vita fosse stravolta per questo”. “Proteggetela, Messere. Domani e sempre!” Mentre Hastatus si preparava per coricarsi, anche se non avrebbe dormito voleva far riposare il corpo, sentì qualcuno bussare alla porta. Aprì. “Cavaliere25! Che ci fai qui?” disse Hastatus sorpreso. “Signore ho pensato alla proposta di Virno, non possiamo mandare Lady Gonzaga! La sua vita sarà rovinata!” esordì il giovane scudiero. “Lo so, lo so, ma non abbiamo scelta… non possiamo attaccare quel porco con l’esercito perché inizieremo una guerra totalmente inutile…” rispose Hastatus “Certo, questo lo so bene, ma io ho un piano…” sussurrò Cavaliere25 all’orecchio di Hastatus che lo guardò titubante ed incredulo. “E quale sarebbe, ragazzo?!” “Virno vuole una donna di Camelot? Bene, noi gliela daremo ma…. quella donna non sarà che un guerriero travestito!” “Che cosa?? Sei pazzo?? Siamo tutti uomini alti più di un metro e ottanta, muscolosi e soprattutto pelosi! Come puoi pensare che Virno non si accorga che la donna in realtà è un uomo???!!!” rispose Hastatus sconcertato. “Signore, io sono più gracile di voi e soprattutto sono pressoché glabro. Con un buon travestimento sembrerò una giovane ragazza, magari bruttina, ma di certo non un uomo!” lo rassicurò Cavaliere25 e continuò “Nella tenda di Virno o non ci sarà per nulla illuminazione, o ce ne sarà pochissima in più la sua lussuria gli offuscherà la vista e la ragione. Quando sarà abbastanza vicino sfilerò il coltello che avevo nascosto nella manica e gli taglierò la gola. Come potrete immaginare i suoi scagnozzi se la daranno a gambe quando scopriranno che il tiranno è morto”. “Ragazzo, tu sei un genio! Questo piano è da pazzi ma è l’unica soluzione possibile! Bene, ogni cosa resterà invariata salvo il fatto che Lady Gonzaga rimarrà qui al castello e non dovrà subire alcuna umiliazione. Lady Talia avrà sicuramente qualche vestito da prestarti e Lady Sibilla potrebbe darti qualcuno dei suoi bellissimi veli cosicché il tuo viso sia parzialmente nascosto. E sai cosa ti dico? Sono certo che Morrigan ha un coltello quasi invisibile ma letale”. E fu così che qualche ora dopo mezzogiorno Lady Fabrizia lasciò Camelot con una scorta di trenta cavalieri alla volta del villaggio ove l’attendeva il terribile Virno. Arrivarono circa quattro ore più tardi, all’imbrunire, nei pressi del villaggio, le sette galee erano ormeggiate non lontane dalla riva, brulicavano di uomini. Un via vai di soldataglia entrava ed usciva dalle casupole che solo qualche giorno prima avevano ospitato delle famigliole felici. In un recinto, mischiate alle vacche erano state confinate le donne che mute, sotto shock, attendevano ormai di raggiungere i loro mariti nell’Ade. Virno non alloggiava nelle case ma si era fatto montare la solita tenda da guerra in riva al mare. “Sir Hastatus, non seguitemi voi, mandate un sottoposto piuttosto, scambiatevi l’armatura cosicché Virno credi di avere a che fare con uno dei migliori cavalieri di Camelot. Posizionatevi invece con gli altri cavalieri dentro quel fitto boschetto. Da là non dovreste aver problemi a raggiungere l’accampamento di quell’animale” disse Cavaliere25 per nulla preoccupato di infrangere la norma militare secondo la quale uno scudiero non può dare ordini ad un cavaliere. Quello però era il suo piano e Hastatus gli aveva concesso piena facoltà di decisione dandogli prova di estrema fiducia. “Si ragazzo, stavo pensando la stessa cosa, manderò Rufus con te, è grande e grosso come me, l’armatura gli starà a pennello, ma soprattutto è un uomo astuto che già altre volte è riuscito a sopravvivere a situazioni altamente pericolose” rispose Hastatus. “Dopo i convenevoli, anche se non credo che ce ne saranno molti, quel porco non vedrà l’ora di soddisfare i suoi appetiti sessuali, mi porterà nella sua tenda. Vedo che ci sono delle candele accese al suo interno, quando lo avrò ucciso le spegnerò. I suoi scagnozzi crederanno che l’abbia fatto per una maggiore intimità… avranno una sgradevole sorpresa! Quello sarà il segnale, montate la carica e travolgete quegli animali, io correrò a liberare Rufus e ci getteremo nella mischia assieme” affermò Cavaliere25. “E sia, buona fortuna ragazzo! Ricordati che dovrai agire senza parlare e soprattutto prima che quel maiale ti metta le mani addosso altrimenti scoprirebbe subito che sei un uomo. A dire il vero vorrei vedere la sua faccia quando capirà che la sua lussuria l’ha portato alla morte!”. Detto ciò i due si strinsero la mano, effettuato lo scambio di armature tra Rufus ed Hastatus, Lady Fabrizia fu pronta per essere presentata all’orco. I convenevoli furono praticamente assenti, non fu nemmeno chiesto che la dama scoprisse il volto per osservarne i lineamenti. Tutto andava come avevano previsto. Nel giro di pochi minuti Rufus fu condotto lontano e fu legato ad un albero mentre Lady Fabrizia passava tra due ali di uomini eccitati, strafottenti e bavosi alla vista dei quali Cavaliere25, che recitava alla perfezione la parte, ebbe un forte voltastomaco frenato solo dalla necessità di compiere alla svelta la missione e levarsi di lì. Appena furono dentro la tenda, soli, Virno iniziò a spogliarsi, Cavaliere25 disgustato sempre più preferì girarsi “per fortuna che ho il velo che non mi permette di vedere bene” pensò tra sé e sé. Poco dopo sentì l’uomo avvicinarsi a passi lenti, Cavaliere25 tenne le braccia incrociate al petto, sentiva con i polpastrelli della mano destra la lama fredda del coltello che teneva nascosto sotto la manica sinistra. Un passo. Un altro. L’ultimo passo. Una mano pelosa e sporca lo prese per la vita. Veloce e deciso Cavaliere25 si voltò, estrasse il coltello e lo conficcò nella giugulare di quel maiale assassino che senza emettere nemmeno un lamento stramazzò a terra. Cavaliere25 corse a spegnere le candele, in un attimo la cavalleria di Camelot piombò su quei marrani mentre Cavaliere25 liberatosi del velo ma non del vestito uscì dalla tenda trascinando per i capelli il cadavere nudo di Virno. I pochi barbari che non fecero in tempo a gettarsi in acqua nella speranza di raggiungere le galee furono falciati. Cavaliere25 alzando le gonne al petto corse prima a liberare Rufus e poi assieme si diressero verso il recinto delle donne. Le liberarono tutte e ordinarono loro di correre il più velocemente possibile in direzione di Camelot assicurando che le avrebbero raggiunte poco dopo. Il mattino seguente fecero tutti ritorno a Camelot accolti da un’ovazione popolare. Le dame scesero per la strada commosse. Lady Gonzaga si getto tra le braccia di Cavaliere25 riconoscente per aver salvato il suo onore. Le donne, ormai vedove, poterono riabbracciare i figlioletti sopravvissuti alla carneficina. Più tardi, ormai soli nelle stalle, Hastatus e Cavaliere25 si abbracciarono con fraterno affetto. “Bravo, ragazzo! Hai dato prova di avere un coraggio inusuale e di essere molto astuto. Parlerò con il tuo maestro affinché inizi a pensare di proporti come nuovo Cavaliere della Tavola Rotonda. Certo, non sarà felice di sapere che il suo pupillo si è guadagnato la gloria combattendo travestito da donna. Anzi ora che ci penso… mi fate un certo effetto Lady Fabrizia!” disse ridacchiando Hastatus “Per favore amico! Non deridermi oltre, questi abiti sono davvero scomodi… ma come faranno le donne a portarli per tutta la vita?! Mah… non capisco…” sbraitò Cavaliere25.
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29-03-2011, 16.10.40 | #5 |
Cittadino di Camelot
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[L'INCHIOSTRO, L'ARPA E IL FUOCO]
L'inverno a Camelot è una vera noia! Pensò tutt'ad un tratto Lady Morrigan, avvicinandosi al camino della sala grande, nel Palazzo delle Arti. È una noia mortale solo per le donne, naturalmente! Gli uomini, almeno, un po' per scaldarsi, un po' per tenersi in movimento, e un po' per evitare il menage familiare, riescono a trovare delle ottime scuse per scorazzare nei dintorni della città: un giorno simulano azioni di guerra e un'altro giorno organizzano una battuta di caccia (caccia al nulla, visto che la selvaggina scarseggia!). Ad onor del vero, quasi tutti gli uomini si dedicano anche a lavori di manutezione o di costruzione: i cavalieri, però, partecipano volentieri solo a quelli che riguardano il restauro e l'ampliamento delle difese. E le donne, come al solito, relegate (per sicurezza!) alle loro attività; recluse all'interno delle case o dei palazzi, nonostante in molte di loro alberghi la forza e il coraggio di una combattente o l'ingegno di un'abile stratega o di una mente ricca di innovazioni architettoniche o semplicemente l'impegno e la costanza, abbinata a volenterose braccia in grado di portare a termine gli stessi incarichi degli uomini. Quand'è, si chiese Lady Morrigan, che le popolazioni di questo pianeta capiranno che, per accelerare il loro sviluppo e la loro evoluzione, dovrebbero attingere a tutto il loro potenziale? La domanda era retorica, ovviamente, perché a lei era ben nota la risposta! È così difficile per i poveri mortali comprendere la natura degli dèi. Per esempio, loro si limitano a vedere Lady Morrigan, qui, davanti ai loro occhi, eppure, lei vive contemporaneamente in altri luoghi e in altri tempi o al di fuori di ogni luogo, al principio o alla fine del Tempo (che è un concetto umano, non divino!). Lady Morrigan pensò a sé stessa, lì, nel Palazzo delle Arti, e al motivo che la tratteneva ancora a Camelot. Pensò alla sua scelta di vivere per un po' come una mortale tra i mortali, violentando facilmente la sua natura e limitando i suoi poteri. Più difficile, invece, le risultava contenere il suo spirito battagliero. Anche se, in realtà, vi era riuscita spesso: come quando si trattenne dal volare sulla costa, per fare a brandelli con le nude mani quell'essere abominevole di nome Virno. Era certa, invece, che non avrebbe mai potuto trasformarsi in una dama mansueta e dedicarsi, magari, alla preparazione di golosi manicaretti, per far venire l'acquolina in bocca a qualche cavaliere. Cercò di pensare ad altro, mentre arrotolava e gettava nel fuoco il misterioso messaggio recapitatole qualche ora prima, quando lei, Lady Dafne e Lady Talia, si stavano dirigendo verso la sala, per trascorrere un po' di tempo assieme. Ed eccole lì, le sue compagne! Lady Morrigan le osservò con affetto: con l'affetto di una madre, per le creature che contribuì a creare, e con l'affetto dell'amicizia che legava tutte e tre. Si soffermò ad osservare Lady Dafne, seduta allo scrittoio, vicino ad una delle finestre della sala. Lady Dafne aveva promesso una nuova storia per le sue amiche e se non fosse stato per l'ipnotico andirivieni della penna d'oca sulla pergamena o per il rapido volo della mano dal foglio al calamaio e viceversa, la si poteva scambiare per una statua. E il suo sguardo... Non stava osservando il dipanarsi dei pensieri e delle immagini, mentre seguivano il filo colorato dell'inchiostro che le registrava in astratte parole su quella superficie che, lentamente, le assorbiva e le faceva proprie. Il suo sguardo si spingeva oltre; sembrava scandagliare l'intero universo, alla ricerca del punto d'origine; e lì, in quel luogo minuscolo, in una luce accecante, contemplava le immagini e i suoni di ogni evento o di ogni possibile evento: del passato, del futuro, di questo universo o degli universi alternativi (alcuni dei quali creati da lei stessa, a sua insaputa). E una piccola scintilla, di quello stesso puntino luminoso, brillava anche in Lady Dafne e, a dire il vero, in tutti gli esseri: un dono che Morrigan, la dea, elargì all'inizio dei tempi, assieme agli altri dèi e per volontà di un entità superiore e sconosciuta: anche a lei. Un dono che gli esseri umani non sono ancora coscienti di possedere. E un'altra scintilla brillava in Lady Talia che si trovava poco più in là, con la sua arpa, nella posizione che lei stessa individuò tempo addietro e che permetteva di sfruttare l'orditura lignea del soffitto e delle pareti, per assicurare un suono avvolgente ed una percezione acustica omogenea ed estremamente chiara in ogni punto della sala. Lady Talia era seduta sul suo sgabello a tre piedi, con gli occhi chiusi e l'arpa appoggiata nell'incavo della spalla sinistra. Le sue mani si muovevano con grazia squisita: flessuose, morbide, anch'esse ipnotiche. Sfioravano appena le corde dello strumento, ricavandone una melodia straordinaria: una sua composizione, naturalmente! Lady Morrigan si rilassò; si lasciò trasportare dalle note e si accomodò nuovamente davanti al camino, osservando le fiamme danzare. Non ci volle molto tempo, prima che queste cominciassero a prendere vita e forme. Dapprima, un drago... Tuttavia, vedere un drago tra le lingue di un fuoco è normale, quasi banale. Ma vederlo sputare altre fiamme, d'un bianco incandescente bordato di rosso, e, lì accanto, dove queste giungevano, vedere altre lingue infuocate dare forma e vita ad un cavaliere, che si proteggeva con uno scudo e contrattaccava con una lancia: no, questo non era né banale, né normale! E il tutto sembrava vibrare all'unisono con le note di Lady Talia. Di più: sembrava prendere vita da quelle note. E Lady Morrigan, che poco prima aveva ricordato la creazione di questo universo, si ritrovò nel coro degli dèi, intenta a contribuire a tutto ciò che è, che è stato e che sarà. A fondere o a sovrapporre le sue note a quelle degli altri suoi simili e a quelle dell'entità superiore, fonte di tutto. Oppure in una pausa di silenzio, per riprendere fiato, mentre ascoltava il canto della creazione. Quelle note. Quello strumento. Quell'arpa era unica. Non esisteva nulla di simile in tutto il regno. A dirla tutta, non esisteva nulla di simile in tutto il pianeta: non ancora! Era un dono di Merlino per Lady Talia. Quell'irritante essere (Morrigan ne era sicura: non era figlio delle sue note!) l'aveva costruita sul modello di una visione. Una visione del futuro, naturalmente! Uno strumento così esisterà solo tra un migliaio d'anni. Un'arpa più grande di quelle in uso in questo tempo, con più corde e, soprattutto, sottilissime: di metallo, non di budello di pecora. Lady Morrigan stava ancora chiedendosi se le immagini che danzavano nel camino non fossero il frutto di qualche incantesimo, quando le fiamme pulsarono, pretendendo la sua attenzione... Lady Morrigan si protese in avanti e si concentrò sulla scena. Cercava di comprendere la natura di quella visione. Era simbolica? Forse il drago rappresentava i sassoni e il cavaliere Camelot. Oppure era una visione della realtà? E di quale universo? Di questo o di una delle dimensioni parallele ad esso? Il cavaliere, nel frattempo, aveva perso la lancia ed arretrava, rintuzzato dai colpi di coda del drago. E il suo volto... A Morrigan, la dea, sono noti i volti di tutti gli esseri umani, di ogni tempo e di ogni luogo. E il volto di quell'uomo le era ancora più familiare. Quando lo riconobbe, trattenne il fiato, sgomenta: una sensazione inusuale per lei. Quel giovane! Il giovane cavaliere giunto dal lontano Tirolo! Il solo ed unico amore di Lady Dafne! Sir... Stava per pronunciare il suo nome, quando un grido disperato attirò la sua attenzione, mentre tra le fiamme, nel camino, il cavaliere veniva ferito ad una coscia da un colpo di coda del drago e dai terribili aculei all'estremità della stessa. Lady Dafne! Pallidissima. La mano sinistra premuta sul petto e la destra sulla bocca, a trattenere un altro grido... Durò solo pochi istanti: il tempo necessario affiché le sue compagne accorressero da lei. "Lady Dafne, non vi sentite bene?" - chiesero all'unisono. "Che sciocca!" - esclamò lei, riprendendo fiato e colore. "Perdonatemi! Ero così immersa nella trama del mio racconto, da farmi coinvolgere e spaventare". "Dev'essere davvero avvincente, allora!" - cercò di sdrammatizzare Lady Morrigan. "Oh, vi prego, vi prego, Lady Dafne, leggeteci la vostra storia..." - supplicò Lady Talia, che non si accorse di quanto Lady Morrigan fosse tesa, in realtà. "Ma non è terminata!" - protestò Lady Dafne. "Oh, suvvia, la terminerete a voce. E nei vostri Annali la registrerete più tardi: io non resisto più!" - aggiunse Lady Talia, fingendosi sul punto di piagnucolare! "E sia!" - disse, arrendendosi, Lady Dafne. Si disposero in cerchio davanti al camino e Lady Morrigan procurò di volgere le spalle al fuoco. Quindi, dopo una calcolata pausa di silenzio, Lady Dafne iniziò a leggere: "L'inverno a Camelot è una vera noia! Pensò tutt'ad un tratto Lady Morrigan..."
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Se a ciascun l'interno affanno si leggesse in fronte scritto, quanti mai, che invidia fanno, ci farebbero pietà! (Metastasio) Ultima modifica di Hastatus77 : 29-03-2011 alle ore 22.19.56. |
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[L'ARPA E LA SPADA] "Il coraggio non è la grande quercia che vede la tempesta arrivare e passare, ma è il fragile fiore che si apre nella neve." Alice M. Swain PARTE I Il cielo color del piombo, il forte vento, ancora freddo ma non gelido, e il mare agitato, che ancora rendeva impossibile la pesca, lasciavano intendere che l'inverno non fosse ancora passato. Eppure, ad un occhio attento, gli indizi che annunciavano il cambiamento della stagione non sarebbero passati inosservati: piccoli ciuffi di un verde intenso si facevano largo tra rocce e zolle grigiastre; qualche insetto si muoveva nervosamente alla ricerca di qualcosa; altri sembravano intontiti dal freddo e come in attesa, sorpresi e speranzosi, di un sole che tardava ad arrivare. E alcuni uccelli erano già tornati e riempivano l'aria di richiami. A Cerdic non era necessario osservare tutto questo. Alla sua giovanissima età, la primavera, la si sente arrivare in anticipo: il corpo freme, impaziente di movimento e, nel suo caso, di lotta e di avventura. A undici anni, se il sole latita, ci si scalda da sé o con l'immaginarne uno già carico d'estate. E la fantasia a Cerdic non mancava di sicuro. La fantasia gli era necessaria. Necessaria per alimentare i suoi sogni, perché lui ne era certo: un giorno sarebbe diventato un cavaliere! Avrebbe difeso la sua terra. Avrebbe salvato un damigella in difficoltà. Avrebbe servito fedelmente Re Artù e, forse, avrebbe trovato posto alla Tavola Rotonda. La fantasia gli era necessaria anche per sopravvivere ai momenti di sconforto. Se, in precedenza, farsi accettare dai suoi coetanei non era stato facile, in quei giorni, quando era fortunato, veniva ignorato o allontanato dai giochi comuni. Altre volte veniva bersagliato con pietre e insulti. Tutto era cambiato, da quando, sei mesi prima, era morto suo padre... Tredici anni erano trascorsi, da quando Horad, il padre di Cerdic, arrivò a Chilfach Cudd aggrappato ad un asse di legno, in un mare ancora in tempesta: unico sopravvissuto di una piccola flotta di sassoni alla ricerca di una nuova terra dove stabilirsi. In quei giorni, i rapporti tra i due popoli non erano ancora diventati così burrascosi, ma la diffidenza verso gli estranei era già radicata negli abitanti del piccolo villaggio. Tuttavia, soccorsero lo straniero in difficoltà. Lo curarono. E col tempo, vista la sua intenzione a trattenersi presso di loro, visti il suo carattere socievole e l'abilità con cui svolse ogni lavoro in cui si impegnò, riuscirono ad accettarlo e ad accoglierlo all'interno della loro comunità. Dopo un paio d'anni, solo le sue caratteristiche fisiche lo distinguevano dagli altri. I capelli biondi, così chiari da sembrare bianchi, spiccavano tra capigliature nero corvine, castane o rossicce. Spiccava anche a causa della sua statura, di una testa più alto di chiunque altro. Gli occhi azzurri, invece, non erano rari da queste parti; ma le sue iridi non ricordavano il colore del cielo, piuttosto sembravano scaglie di ghiaccio. In molti si domandarono cosa attirò l'attenzione di Gwen, la madre di Cerdic, e perché s'infiammò d'amore per quello straniero; ma lei non lo confidò mai a nessuno. Neppure ad Horad, che non glielo chiese mai, ma ne ricambiò il sentimento come un dono insperato, vivendo la loro relazione come se gli fosse concessa solo per poco tempo. Di tempo, invece, gliene venne concesso; seguirono più di dieci anni di gioie e soddisfazioni: la nascita di un figlio; la stima degli abitanti di Chilfach Cudd; il riconoscimento dei suoi meriti, sia per le sue capacità di pescatore e cacciatore, sia per la sua abilità di guerriero; soprattutto, gli furono riconoscenti quando difese il villaggio dai tentativi di invasione del suo popolo d'origine, quando i sassoni divennero più ostili o si unirono alle scorribande dei pirati. Già, i pirati! Sei mesi prima, il demone biondo, Virno il Guercio, sassone pure lui, a capo di sette galee, attaccò il villaggio e uccise quasi tutti gli uomini: tra questi, il padre di Cerdic e i padri dei suoi amici, che da allora, nonostante il rispetto che ancora provavano per suo padre Horad, mal sopportarono le sue origini, i suoi lineamenti e, soprattutto, quei capelli biondi, che ricordavano loro l'aspetto di quegli assassini. Il ricordo di quella notte era ancora vivo in tutti loro. E non meno in Cerdic: il buio del nascondiglio in cui l'avevano spinto i suoi; le urla della madre; l'agonia di suo padre, inchiodato con due arpioni alla parete della loro camera da letto, e da cui, nei suoi ultimi istanti di vita, tentava inutilmente di porre fine alle violenze che subiva Gwen. Cerdic ricordava gli scherni dei sassoni; le risa dei sassoni; e ancora i sassoni che lo tiravano fuori dal suo nascondiglio. Poi, il lungo e penoso viaggio verso Camelot... e, dopo tutta quell'oscurità, finalmente un raggio di luce, di speranza, di giustizia: il castello; l'affetto e la dolcezza delle dame; i cavalieri che partivano per liberare il villaggio dai predoni del mare! E due giorni dopo, quando riabbracciò sua madre, quando dovette tornare a Chilfach Cudd e abbandonare le dame, i cavalieri e le torri di Camelot, Cerdic ne fu ancora più convinto: vi sarebbe tornato! E avrebbe combattuto a fianco del suo idolo: il vendicatore, l'uccisore di Virno il Guercio... Cavaliere25! Cavaliere25, ogni dieci giorni, circa, disponeva di una giornata tutta per sé. Libera dagli impegni ufficiali, ma non dagli impegni cavallereschi: fare la corte alle dame, andare a caccia, allenarsi con gli altri cavalieri, bisbocciare alla taverna. Insomma, le tipiche attività di un giovane cavaliere in libera uscita. Per meglio dire, queste erano le sue attività preferite fino a sei mesi prima. Infatti, in molti notarono che Cavaliere25, da qualche tempo, in quelle giornate libere, usciva sempre di buon'ora, molto prima dell'alba, per una meta ignota, da cui faceva ritorno soltanto nel primo pomeriggio. Le premature illazioni sulle sue cacce sfortunate — visto che rientrava sempre senza prede —, lasciarono subito il posto ad ipotetiche fanciulle di qualche vicina contrada. Ma nessuno poté immaginare dove realmente si recasse e in quali attività fosse impegnato durante quelle sue assenze. La gelosia, il disappunto, le battute, i pettegolezzi di alcune dame sarebbero cessati all'istante, anzi il loro cuore sarebbe esploso d'amore, se avessero saputo... Come difatti avvenne, quando si seppe! Né pioggia, né neve, né le minacciose tempeste, come quella di quel giorno, gli impedirono nei mesi precedenti di raggiungere la costa per tener fede ad una sua promessa, al suo nuovo impegno. In realtà, non aveva ancora capito cosa lo spinse, in quei lontani giorni autunnali, ad interessarsi della sorte di un particolare ragazzo e del suo sogno — del suo impossibile sogno! — di diventare un cavaliere. Qualche giorno dopo l'uccisione di Virno e la liberazione di Chilfach Cudd, Cavaliere25 tornò al villaggio per accertarsi di persona che, nonostante la terribile sciagura, i sopravvissuti fossero in grado di superare la crisi. Per assicurarsi che le donne e i pochi uomini scampati alla strage — perché lontani dal villaggio, a caccia o per commerciare —, grazie anche all'aiuto giunto dai villaggi vicini, si stessero preparando all'inverno, ormai non troppo lontano. Accadde al termine di quella prima visita, mentre salutava il nuovo capo-villaggio e lasciava Chilfach Cudd per ritornare a Camelot. Accadde sulla cima della collina alle spalle del villaggio, dove gli si parò dinanzi un ragazzino biondo, a gambe divaricate, pugni stretti e lo sguardo inchiodato su di lui. Rimasero a fissarsi per un tempo che parve lunghissimo. Poi, anticipando la domanda già sulle labbra di Cavaliere25, il ragazzo sbottò: «Sono Cerdic, figlio di Horad, e voglio diventare cavaliere!». Un'altra lunga pausa di silenzio. Poi, Cavaliere25 sorrise, allentando la tensione del ragazzo. «Tra una settimana... All'alba... In questo stesso luogo!». Il viso di Cerdic esultò, gli occhi lucidi. Il ragazzo non disse nulla, non riusciva a parlare dalla gioia; emise solo una specie di singhiozzo e corse via, verso il villaggio. Iniziò così il loro strano rapporto. Ogni sette o dieci giorni, a seconda degli impegni di Cavaliere25; in ogni sua giornata libera, senza eccezioni; con qualsiasi condizione atmosferica o stato di salute; dall'alba a mezzogiorno; sulla cima di quella collina. Né pioggia, né neve. E neppure l'immane stanchezza di quel giorno. Stanchezza dovuta al cattivo riposo dell'ultima settimana; dovuta agli incubi ricorrenti che, ogni notte, da sette notti, gli impedivano di riposare. Sogni. In realtà, si trattava sempre dello stesso sogno, che si ripeteva in continuazione. Dapprima fiamme; fiamme che si trasformavano in immagini. Un drago e un cavaliere che l'affrontava e ne veniva sconfitto. Poi, voci. Quella di una donna e quella di un vecchio, che recitavano una sorta di cantilena. Nelle notti precedenti era solo una di quelle voci a recitarla... o almeno così gli sembrava di ricordare. Ma nella notte appena trascorsa c'erano entrambe e si alternavano: iniziando da quella femminile, ognuna recitava un verso, per così dire. E come nelle notti precedenti, risvegliarsi una prima volta dall'incubo non era servito: appena richiudeva gli occhi, si ripeteva. Così, Cavaliere25 finì con l'imparare a memoria quella sorta di filastrocca. Anche nella luce incerta di quella mattina, mentre si arrampicava lungo il fianco della collina — sulla cui cima, sicuramente, l'attendeva Cerdic —, quella maledetta cantilena riecheggiava nella sua mente: "Cavaliere, Un drago? Un drago bianco, per giunta! I sogni sono proprio strani. Un drago non l'aveva mai visto in vita sua. Bianco, poi... Eppure aveva la sensazione d'aver già sentito parlare di draghi bianchi, ma era troppo stanco per cercare di ricordare. E stanco di quello stupido sogno che lo perseguitava anche ad occhi aperti. Stanco di tutte quelle fiamme. Stanco di quella litanìa di sconfitte, di sangue e di morte. Ed eccolo! Il rimedio che già stava esorcizzando quell'incubo: un ragazzino che gli correva incontro, col viso illuminato dal sorriso; un ragazzino che lo ritemprava appena compariva all'orizzonte, riempiendolo di nuova forza — come un sonno ristoratore, come una bevanda corroborante. Cavaliere25 ne era sempre più convinto: quel che provava per Cerdic era un affetto vero; simile, immaginava, a quello di un padre per il proprio figlio. Provava gioia nel rivederlo; nel passare con lui quei ritagli di tempo; nell'ascoltare i racconti delle sue giornate; nell'ascoltare i suoi sogni e le sue paure; nel dargli consigli; nel contribuire alla sua evoluzione di uomo con aneddoti, storie, rimproveri e, naturalmente, con i loro esercizi di combattimento, con i loro finti duelli. E quanto era cresciuto, quanto si era irrobustito negli ultimi mesi e quanti progressi con la spada. Se fosse cresciuto a corte, se fosse stato figlio di un nobile, sarebbe già paggio da un paio d'anni e, tra altri tre, sarebbe diventato scudiero; e, un giorno, cavaliere! Non voleva illuderlo. Presto o tardi avrebbe dovuto affrontare l'argomento e fargli capire che il suo sogno era destinato a rimanere tale. Il suo futuro sarebbe stato diverso. Sarebbe diventato un grande combattente — questo, sì! —; avrebbe difeso la sua gente e, magari, avrebbe potuto aspirare al titolo di capo-villaggio. Horad, il suo vero padre, ne sarebbe stato altrettanto fiero! Sì, prima o poi, avrebbe dovuto affrontare anche questo discorso, ma non oggi. Oggi era il giorno del duello. Oggi avrebbero esorcizzato i loro incubi con la fatica, il sudore, il ritmo dei colpi delle loro spade di legno, dei loro scudi, e con il fragore delle loro risate. Risate portate lontano dal vento, che cominciava a farsi impetuoso e a schiaffeggiarli con mani d'acqua gelida, complice la pioggia. Lo stesso vento che spingeva le nuvole a correre più veloci delle Furie; e, come furie, fondersi con le onde del mare e infrangersi contro gli scogli. Lo stesso impeto dei colpi che si scambiavano Cerdic e Cavaliere25, dimentichi del tempo e delle intemperie; lo sguardo dell'uno fisso negli occhi dell'altro: intenso, concentrato e... felice! La fine della pioggia coincise con quella del duello. Cerdic, la spada impugnata saldamente con entrambe le mani, parò un colpo laterale, che dal basso verso l'alto, tentava di forzare la sua guardia. Bloccò ed attirò verso di sé la spada di Cavaliere25 e lo sorprese, roteando la propria lama intorno alla sua e, con uno strappo veloce e con forza insospettata, gliela fece volar lontano, dall'altro lato, facendo perdere l'equilibrio al suo maestro, mentre questi poggiava incautamente il piede su una pietra malferma. Il cavaliere piombò a terra, pesantemente, in un piccolo avvallamento del terreno. Nessun danno, solo l'orgoglio un po' ammaccato. Rise. Una risata di gusto, liberatoria; gli occhi lucidi per la gioia, mentre guardava Cerdic ancora saldo nella sua posizione, con la spada puntata verso il naso di Cavaliere25. Poi, anche il ragazzo scoppiò a ridere e abbassò l'arma. Ridevano ancora, quando uno squarcio tra le nuvole liberò un raggio di sole, alle spalle di Cerdic. I capelli sfolgorarono d'oro e dell'accecante biancore della neve. Cavaliere25, abbagliato, fece scudo con la mano e girò lo sguardo verso il terreno, alla sua destra, dove lo stesso raggio illuminava un ciuffetto di trifoglio, tra i quali ne spiccava uno con quattro foglioline. Improvvisamente, a squarciarsi fu il velo che annebbiava la mente. "...combatterete il figlio del drago bianco, E un altro ricordo si fece strada, seguendo il primo. La leggenda sull'adolescenza di Merlino. La sua profezia per re Vortigern. Il drago bianco,... cioè il popolo sassone! Profezia. Questa parola incupì Cavaliere25. Si preoccupò per le implicazioni di ciò che andava congetturando la sua mente; si preoccupò della sua sanità mentale, perché lui non credeva a queste cose; si preoccupò, perché, se mai ci fosse stato del vero, l'aspettava un lungo viaggio e, da qualche parte, sangue e morte. Ma non poteva essere vero! Quello doveva essere stato solo un caso. E checché andasse cianciando quel vecchio bardo, a Camelot, sull'inesistenza del caso, quella era assolutamente una pura coincidenza. Pensare al vecchio bardo, gli fece tornare alla mente il dono che, ogni volta che si recava a trovare Cerdic, gli giungeva da parte sua, tramite Dysgor, il ragazzo che serve alla Taverna dell'Orso Stanco. Quel mattino aveva con sé due focacce d'orzo, un paio di mele, fichi secchi, formaggio e del latte di capra. Cavaliere25 si rese conto di avere una gran fame; e la fame scacciò tutti i cattivi pensieri. Lui e Cerdic scesero alla spiaggia, si sistemarono su una barca capovolta e, godendo degli intermittenti e tiepidi raggi, mangiarono, chiacchierarono e risero ancora, fino a quando il sole, dopo aver raggiunto il punto più alto dell'arco tracciato nel cielo, cominciò la sua discesa verso l'orizzonte. Come al solito, il tempo era trascorso troppo velocemente per loro. Ma cominciava a farsi tardi e Cavaliere25 risalì sulla sua cavalcatura e riprese il cammino già percorso, per rientrare a Camelot: non prima, però, di aver rinnovato il suo impegno, con la promessa di tornare presto. Ma non si sarebbero rivisti tanto presto! A tutto questo stava ripensando Cavaliere25, quando, quattro giorni dopo, si ritrovò nei pressi di Caer Wrygion, la Viroconium dei romani. Alle spalle tre giorni di viaggio e di pioggia ininterrotta, immerso in una oscurità perenne che, anche di giorno, non aveva nulla da invidiare alla notte. Lasciata Camelot, s'era diretto dapprima verso Caerllion (che i romani chiamavano Isca Silurum), per recapitare un messaggio urgente per il re, che, per impegni ufficiali, si trovava nella fortezza che tutti consideravano l'altra Camelot. Cavaliere25 aveva attraversato lo stretto braccio di mare — primo ostacolo sul suo cammino —, a bordo di una grossa chiatta carica di merci, il mattino successivo al duello con Cerdic. C'era ancora il timido sole del giorno precedente e non ebbe problemi durante la navigazione. Môr Hafren, il Mare dell'Hafren, così chiamano questa vasta insenatura. Solo le sue acque salate e le incredibili maree — capaci di risalire l'estuario e invertire il corso del fiume Hafren — ne rivelano la natura; altrimenti sembrerebbe solo un enorme canale, prolungamento ideale del più grande fiume del regno. Era sbarcato nei pressi di Venta Silurum, la città-mercato voluta dai romani e che gli abitanti del luogo ribattezzarono Caer Went. Poi, raggiunta Caerllion, l'aveva lasciata immediatamente, prendendo un antico cammino sfruttato anche dai romani, che l'utilizzarono per collegare Isca Silurum a Deva, poi nota semplicemente come Caer: la città-fortezza da loro costruita più a Nord, nella regione del Gwynned, chiamata Vendotia dai romani. La pioggia era iniziata subito dopo: ancora visibili le mura del castello di Caerllion. Nel procedere sull'antica via, deserta da giorni, continuava a chiedersi per quale insano impulso avesse preso quella folle decisione. Condizionato da un sogno, poi, che, da quando era partito, aveva smesso di perseguitarlo. Invece, quella maledetta cantilena gli tornava alla mente ogni volta che ripensava a tutta la vicenda e, soprattutto, ogni volta che pensava a Cerdic. Le coincidenze di quella giornata e un'altra notte di tormenti, lo convinsero a confidarsi con Sir Guisgard, che in quei giorni era già Comandante dei Cadetti, ma non sedeva ancora alla Tavola Rotonda. Meno di due ore dopo attraversava le porte della città, con il beneplacido di Sir Hastatus77, che gli affidò il messaggio per re Artù e il compito di tornare con un rapporto sulle condizioni dell'antica via e dei punti di ristoro. Non sapeva quanto tempo sarebbe stato lontano da Camelot e da Chilfach Cudd. Quindi, aveva chiesto a Dysgor di portare un suo messaggio a Cerdic. Dysgor aveva accettato di buon grado, anche se tra i due evidentemente non correva buon sangue. Orfano di entrambi i genitori (sua madre s'era suicidata dopo quella maledetta notte), da quando era andato a vivere a Camelot — accolto da Hynaws, l'oste, e da sua moglie Claudia, che pensavano di adottarlo —, Dysgor sembrava più sereno; e felice del suo lavoro alla taverna. Di tanto in tanto, poi, si recava al villaggio natale per qualche commissione per conto di Hynaws e per far visita ai suoi compagni rimasti laggiù. Ricordando il desiderio di Claudia e Hynaws di adottare Dysgor, Cavaliere25 tornò a pensare a Cerdic. Durante il viaggio, più volte, aveva preso in considerazione questa idea. La legge, quella militare, glielo avrebbe permesso: adozione militare! Al compimento dei suoi quattordici anni, Cerdic poteva essere adottato da Cavaliere25, che gli avrebbe trasmesso così i privilegi della sua casata. Dopotutto, volendo darle un minimo di credito e volendo interpretarla, anche se era restìo a farlo, la maledetta litanìa non recitava forse: "Mentre sarà seduto al vostro fianco, "Tre anni... Sarà questo il tempo che trascorrerà prima del mio ritorno a corte? Prima dei decantati giorni di gioia?" — così rimuginava Cavaliere25, mentre una parte di sé rifiutava a priòri ogni riferimento a sogni e profezie. All'improvviso, con il riforzare del vento, la pioggia prese a rovesciarsi con più violenza, sferzandogli il viso con acqua gelida. Non durò a lungo, ma quando diminuì d'intensità, ebbe l'impressione che l'assordante scrosciare della pioggia persistesse nelle sue orecchie. Proseguendo sul suo cammino, il suono cambiò timbro e si trasformò in un rombo continuo e minaccioso: erano le acque tumultuose dell'Hafren, il grande fiume. Finalmente! Tra poco avrebbe avuto un rifugio; un luogo dove ristorarsi e asciugarsi da tutta quell'umidità. Era mattino inoltrato, ma il mondo era immerso in una luce fioca, crepuscolare. Nonostante la pioggia, che cadeva di nuovo fitta, riuscì a vedere il ponte. Oltre, vide le prime abitazioni di Caer Wrygion e la locanda dove si sarebbe fermato. Fuori dalla Locanda dei Corni c'era movimento. Gli sembrò che fosse giunta una piccola comitiva. Vide le finestre e l'ingresso della locanda illuminate dall'interno. Sull'uscio un uomo con una lanterna, che osservava un gruppetto di persone e dei cavalli. Di lì a poco, proprio mentre Cavaliere25 iniziò l'attraversamento del ponte, il gruppetto si congedò dall'uomo sulla porta e si diresse a nord. "Per mettersi in viaggio con questo tempo," — pensò Cavaliere25 — "devono avere davvero qualcosa d'urgente da fare". L'uomo sulla soglia, che stava chiudendo la porta mentre rientrava, lo vide arrivare e si affrettò a riaprirla e ad accogliere il nuovo cliente. Cavaliere25 si rilassò di colpo e già pregustava un bagno caldo, un fuoco, del cibo e un'intera giornata di riposo. (continua) PARTE II Kerygwel quella mattina aveva davvero perso la pazienza. Gli uomini che le erano stati assegnati, quale scorta nel suo viaggio, ancora tremavano al pensiero del suo sguardo carico d'ira e delle sottintese, velate, minacce di una maledizione. Tranne Hanes, ovviamente, e quel maledetto capitano: Sir Heinrich! Possibile — si chiese Kerygwel — che, ogni volta, doveva impiegare un'eternità per convincere questa gente. Eppure avrebbero già dovuto capire che lei non parlava senza ragione! Non li aveva forse avvisati per tempo, quando tre giorni prima stavano per essere sorpresi dalla tempesta e lei, nonostante l'urgenza di raggiungere Ynys Môn, consigliò loro di fermarsi a Caer Wrygion? E non era stata lei ad avvertirli della sensazione di pericolo che provava, quando, nei pressi di Lactodurum, stavano per cadere in una imboscata? E ogni volta — pensò —, prima c'erano lo scetticismo e la derisione; poi, il timore e la deferenza, quasi fossero in presenza di una dea; e di lì a poco, neanche il tempo necessario al sole per attraversare metà del cielo, tutto veniva dimenticato. O quasi... Perché ricordavano benissimo di avere a che fare con una futura sacerdotessa di Avalon. Era quest'unica certezza che le permetteva di incutere terrore nelle deboli menti di quegli sprovveduti cadetti, e di ottenere la giusta considerazione da parte di un druido come Hanes. Sir Heinrich, invece,... si vedeva che faticava a portarle rispetto; lui badava solo al titolo nobiliare che lei portava: quello della casata del padre, che era anche un fedele — per quanto pigro, burocratico e forse pavido — alleato di re Artù. Kerygwel si ritrovò a maledire, nuovamente, il giorno in cui si infatuò di Sir Heinrich. Erano trascorsi solo otto mesi da allora, ma Kerygwel ricordava perfettamente quel momento. Era anche quello un giorno di pioggia e faceva freddo, nonostante fosse ancora estate. Lei stava scendendo dalla nave che l'aveva riportata in Britannia, quando un colpo di vento fece oscillare l'imbarcazione, proprio mentre si trovava alla fine della passerella, facendole perdere l'equilibrio. Non gridò, lo ricordava bene, né si spaventò. Rassicurata da una sensazione ancora nuova per lei, quasi diede per scontate le braccia robuste, che l'afferrarono al volo, e il sorriso e lo sguardo che incrociò, sollevando il suo. Sir Heinrich era lì per lei, per ordine di suo padre, per accoglierla e scortarla fino a casa. Lei sentì solo il suo nome e non si rese neppure conto del trambusto alle sue spalle, provocato dai marinai e dagli uomini di Sir Heinrich, che tentavano di ripescare la sua accompagnatrice, un'anziana sorella di suo padre. Kerygwel si smarrì negli occhi neri del capitano, profondi quanto l'abisso su cui dicono galleggi il mondo. Neri anche i suoi capelli, scuri e lucenti quanto l'ala di un corvo. Corvine anche le sopracciglia, un po' più spesse di quelle delle genti del nord. Eleganti i tratti, che le ricordavano le statue nei templi, nelle agorà e nelle ville dei territori del Sud, meta del suo recente viaggio. E anche sotto quella dura armatura e gli abiti spessi, immaginava, il resto del corpo poteva competere con quelle sculture. Un corpo che emanava un calore che le ricordava le temperature di quelle terre felici e gli uomini che vi abitavano. In tutto e per tutto, Sir Heinrich le ricordava quelle popolazioni, salvo per il colorito della sua pelle, piuttosto chiaro. Quando, qualche ora più tardi, le riuscì di ottenere qualche scarsa informazioni sul bel capitano, che era giunto dal lontano Tirolo — non lontano dalle terre che aveva appena visitate e quindi, secondo lei, bagnato da quello stesso mare blu e benedetto da quel clima idilliaco —, immaginò che quel colorito fosse dovuto alla lontananza da quell'ardente sole, di cui lei già rimpiangeva il calore dei raggi, che avrebbe ritrovato, pensò, nell'abbraccio di Sir Heinrich. Ricordava, con dolore e stizza, che si riteneva la donna più fortunata del mondo. A pochi giorni dal suo quattordicesimo compleanno, il destino le aveva donato solo benedizioni: un viaggio per apprendere il sapere di quegli antichi popoli, la conoscenza di quei luoghi e di quelle genti, le prime avvisaglie del Potere che si celava nella sua mente e i primi segnali del suo corpo che la rendevano ufficialmente una donna. E, infine, l'incontro con l'uomo che, riteneva, sarebbe diventato il suo compagno per la vita. Ma ben presto i suoi sogni dovettero fare i conti con la realtà. Sir Heinrich la notava appena. Kerygwel aveva saputo di una dama di Camelot legata a lui da una promessa d'amore. E per quanto già la odiasse, non era lei l'ostacolo maggiore da superare, ma un assurdo voto di castità espresso dal cavaliere, in nome di uno di quei personaggi della nuova religione che rappresentavano per questi individui dei simboli o dei modelli a cui ispirarsi o a cui votarsi per esprimere il loro potenziale, le loro aspirazioni o, come riteneva Kerygwel, per celare le loro paure. Eppure anche quel muro d'ostinazione, secondo lei, avrebbe potuto cedere, prima o poi. Tuttavia, aveva compreso quasi subito — anche se non voleva accettarlo — che Sir Heinrich non l'avrebbe mai vista come una donna, ma solo come una ragazzina. Le aveva tentate tutte. Anche al loro arrivo alla Locanda dei Corni, suggerendogli di dividere con lei l'unica stanza libera e, magari, anche l'unico letto; ma quel maledetto capitano aveva preferito dividere il giaciglio con i suoi uomini, nelle stalle, lasciando quel privilegio ad Hanes, il druido. Hanes... Neppure lui accettò di dividere l'alloggio con lei. Come druido non avrebbe trovato indecente dividere la stanza, o addirittura il letto, con una giovane donna: druida, per giunta! Ma conscio delle puerili convenzioni della nuova società romano-britannica, preferì non scandalizzare il senso comune, né arrecare danno alla reputazione di Kerygwel e si trovò anche lui un giaciglio nelle stalle. Kerygwel adorava Hanes. Da tempo, aveva appreso quanto fosse vasto il suo sapere, quanto avesse viaggiato per il mondo, e quanto potesse confidarsi con lui: sulle sue aspettative in qualità di futura sacerdotessa; sui suoi timori, soprattutto riguardo al Potere che aumentava in lei. Da lui aveva sempre ricevuto un valido consiglio, un'informazione utile o una frase comprensiva, quando, come quel giorno, si trovava a combattere contro l'ignoranza, la superstizione o la derisione. Lo adorava e al tempo stesso lo invidiava... Invidiava il fortissimo legame di amicizia che lo legava a Sir Heinrich. Secondo quanto le raccontò Hanes, nei primi giorni dell'autunno passato, da quando si conobbero quei due, tre anni prima, s'erano immediatamente legati: più che amici; più che fratelli! Kerygwel ricordava con rammarico di aver pensato male di Hanes, di averlo addirittura considerato un rivale in amore. Che sciocca era stata! Non è tanto raro che due persone, due anime, siano legate tra loro a livelli superiori, da vincoli che trascendono il tempo, lo spazio e qualsiasi tentativo umano di sondarne la natura, e che, sin dal primo incontro, queste abbiano la sensazione di conoscersi da sempre. Ed il legame tra Sir Heinrich ed Hanes era di questo tipo. Quando Kerygwel riusciva a rintuzzare l'invidia per Hanes o il risentimento per Sir Heinrich, non poteva non rimanere affascinata dall'amalgama perfetta, dell'equilibrio delle opposte tendenze dei loro caratteri, delle loro qualità e dei loro difetti. Dove Sir Heinrich era, sulle prime, riservato e diffidente, Hanes era espansivo e spontaneo in ogni circostanza. Il primo era forte ed armato di una sicurezza dettata dall'esercizio e dall'esperienza; il secondo era meno prestante fisicamente, ma armato di una sicurezza dovuta al sapere di cui era custode e al Potere della sua voce, avendo scelto il cammino del bardo e la libertà di movimento, anziché aspirare alle cariche più alte di sacerdote e capo della comunità. La sua formazione di druido, la conoscenza di migliaia di miti e tradizioni dei britanni e di altri popoli, gli conferivano un'apertura mentale, che contrastava con l'ostinata razionalità del capitano. Ma condividevano il coraggio, la disciplina, il senso del dovere, l'onesta, l'altruismo, il buonumore, l'ottimismo, la franchezza e la modestia. Tutte qualità che attiravano intorno a loro spiriti affini e che finivano col contagiare anche i più riottosi. La loro amicizia, poi, amplificava queste potenzialità e smussava le spigolosità di certi eccessi dei loro caratteri: così, per esempio, la spiccata riservatezza del capitano e l'eccessiva schiettezza del bardo giocavano ruoli ambivalenti, influenzandosi a vicenda e sviluppando nel primo l'empatia che potrebbe renderlo un modello a cui potranno ispirarsi i futuri cavalieri e nell'altro il tatto, la finezza, la prudenza, l'abilità necessaria, che un giorno, forse, gli aprirà le porte di un regno, quale grande consigliere di un sovrano illuminato — chissà, magari dello stesso Artù! D'improvviso i pensieri di Kerygwel furono interrotti. I suoi sensi, resi più acuti dalla disciplina druidica, avevano captato un cambiamento. La pioggia cadeva ancora copiosa, ma adesso lei percepiva una sorta di tepore: una brezza, appena accennata, era sopraggiunta. Era la conferma di quanto aveva predetto a quegli zotici che l'accompagnavano: il tempo stava cambiando, presto avrebbero rivisto il sole. Anche Hanes aveva avvertito il cambiamento, infatti, le si avvicinò sorridendo. Ma c'era qualcosa che Hanes non poteva percepire. Un altro senso si era risvegliato in lei: quello legato al Potere e che l'avvisava del sopraggiungere di qualcos'altro. Non padroneggia ancora il suo Potere e non riusciva a decifrare quella sensazione. Non avvertiva un vero pericolo, non per sé stessa, almeno. Sentiva una forza diversa, qualcosa di naturale e al tempo stesso di minaccioso. E sentiva anche una sorta di malessere, di rimpianto o di tristezza. Era stanca di questi segnali imprecisi del suo Potere e si rinfrancò al pensierò che presto avrebbe raggiunto Ynys Môn, l'isola dei druidi; che, con il prossimo novilunio — di lì a quattro giorni —, sarebbe stata iniziata alla futura carica di sacerdotessa e che avrebbe appreso le tecniche per controllare ed aumentare il suo Potere; che, finalmente, avrebbe reso più chiare quelle premonizioni, sviluppando anche la Vista, che anche stavolta, come già in un paio di occasioni in precedenza, s'era manifestata e le aveva mostrato uno strano paio di ali, dei cavalli al galoppo, l'occhio di una lucertola, dei volti tristi, per la maggior parte sconosciuti, salvo uno. Scosse il capo per allontanare quelle fastidiose sensazioni e prese un profondo respiro, scoprendo che, mentre era investita dalle sue visioni, Hanes le aveva impedito di cadere di sella, cavalcandole accanto e trattenendola per un braccio, e che l'aria profumava di primavera e che la pioggia era cessata e il sole già faceva capolino tra le nubi. Un ultima secchiata d'acqua e Cavaliere25 si lasciò cullare dalla nuova ondata di calore e dai vapori emanati dalla vasca, nella quale era immerso. Una vera sorpresa, questo cimelio in zinco, residuo dell'arredamento di chissà quale antica villa romana. Fin'ora la sua sosta alla Locanda dei Corni gli aveva offerto solo piaceri e promesse di nuove soddisfazioni... Appena giunto, aveva appreso con sollievo che l'improvvisa partenza di una giovane dama gli rendeva disponibile l'unica stanza libera: sempre che non preferisse utilizzare le stalle. Ma dopo quattro giorni di giacigli umidi e duri, Cavaliere25 avrebbe speso ben volentieri una moneta d'oro per un letto decente, caldo ed asciutto. Non gli restò che consegnare il suo cavallo al ragazzo che si occupava delle stalle e aspettare che sistemassero la stanza per il nuovo ospite. Nell'attesa gli offrirono delle focacce d'orzo e una curiosa birra, densa e scura, preparata personalmente dal locandiere, che gli raccontò di averne appresa la tecnica da un monaco, istruito a sua volta da un mercante proveniente da Iwerddon, la grande isola a occidente, che i romani chiamavano Hibernia. Il locandiere gli assicurò che era meglio berla fredda, se non addirittura gelata, ma Cavaliere25, per questa volta, preferì la versione calda e speziata, come si usava, di solito, in inverno: una delizia che gli scaldò immediatamente le viscere e il sangue. Per scaldare le ossa, invece, si avvicinò al grande camino che riscaldava e illuminava la grande sala, affollata dagli ospiti annoiati, intrappolati qui dal brutto tempo. Nel camino, inoltre, avevano appena inserito un enorme spiedo, sul quale cominciava a sfrigolare un giovane cinghiale; lì sotto, tra la cenere, cuocevano lentamente un buon numero di cipolle e di rape... Immerso nell'acqua, Cavaliere25 pregustava quello che sarebbe stato il suo pranzo, e si abbandonò, ancor più, a quel tepore. Vinto dalla stanchezza, s'immerse lentamente anche nel mondo dei sogni, e si accorse a malapena che il ragazzo assegnatogli per servirlo, dopo aver recuperato dalla sua mano, prima che cadesse, la coppa contenente ancora un po' di birra, e dopo aver aggiunto ancora un ceppo nel caminetto, si allontanò dalla stanza — in silenzio, se si esclude il leggero cigolìo di un secchio. È buio. C'è silenzio, o quasi... C'è il crepitìo di un fuoco, da qualche parte. Poi, d'un tratto, l'oscurità è animata da uno sciame di scintille. S'innalzano disperdendosi in tutte le direzioni, poi ricadono, spegnedosi. Il crepitìo si fa più vicino, o più forte, e di nuovo c'è un'esplosione di scintille. Ma stavolta, non fanno in tempo a dileguarsi che un'altro sciame di scintille sopraggiunge; e poi ancora un altro; e un altro ancora. Finché il crepitìo si trasforma in un ruggito di fiamme e l'oscurità di ritrae in qualche angolo. Tutto è un vorticare di fiamme, ormai. Poi, le fiamme prendono forme inusuali. Ed ecco un drago. Ed ecco un cavaliere... Noooo! Cavaliere25 si svegliò di soprassalto. "Ancora quel maledetto incubo!" — pensò — "Ancora quella maledetta cantilena!". E quel che era peggio, s'era svegliato con una sensazione di ansia e di urgenza... "...urge il vostro aiuto, e non sarà invano!" Mentre s'asciugava e si rivestiva in tutta fretta, aiutato dall'inserviente sopraggiunto di corsa — fatto che gli suggerì che probabilmente aveva urlato nel sonno —, maledì chiunque fosse il responsabile di quel tormento, maledì quelle dannate voci e maledì sé stesso che dava loro retta. Ritornato nella sala, trovò il locandiere, che, preavvisato dell'accaduto, lo accolse allarmato, temendo che il cavaliere si lamentasse di qualche sua mancanza o peggio. Cavaliere25 impiegò del bello e del buono per convincerlo che non vi erano lamentele da parte sua — anzi! —, e su due piedi inventò una scusa: la stanchezza gli aveva giocato un brutto scherzo... e tutto ad un tratto si era reso conto che il suo viaggio era durato più di quanto si fosse immaginato;... che era in ritardo e doveva raggiungere al più presto Caer Liwelydd, per un impegno che aveva preso. Il locandiere si tranquillizzò solo quando Cavaliere25 gli allungò una moneta d'argento, per il disturbo, due monete di rame per i ragazzi che avevano servito lui e accudito il cavallo, e altre tre monete di rame per quattro di quelle sue focacce, un paio di quegli ortaggi cotti nella cenere e una bella fetta d'arrosto, da portare via con sé. "Andrete a Nord, dove siete nato;..." In fin dei conti non aveva mentito al locandiere. La sua direzione era Caer Liwelydd, Luguvallium per i romani: la stessa strada che portava al regno "liberato", il Rheged, la sua terra natale. Cavaliere25 lanciò ad un galoppo sfrenato il suo destriero, si sentiva ancora sospinto da una forza che gli imponeva di fare più in fretta. La veloce andatura, però, non faceva che aumentare le sferzate di pioggia che ancora cadeva copiosa. Proseguì così per molto tempo, poi, d'improvviso, al bivio per Caer, il cavallo si oppose ai suoi comandi, rallentò e si fermò, sbuffando... Niente. Qualsiasi tentativo di spronarlo sembrò inutile: anche quando riusciva a farlo avanzare di un paio di passi, immediatamente arretrava. Scese da cavallo ed estrasse la spada, pensando che tra gli alberi che costeggiavano le strade vi fosse un animale o qualcos'altro che spaventava il suo cavallo. Ispezionando cespugli ed alberi, non poté fare a meno di pensare a come molte strade del regno fossero ancora in abbandono. Ai tempi dei romani, un bivio come quello sarebbe stato presidiato da un paio di soldati della non lontana fortezza. Le vie di comunicazione sarebbero state molto più frequentate e in un angolo dell'incrocio ci sarebbe stato un piccolo tabernacolo dedicato a una qualche divinità dei viandanti e di fianco, magari, un contadino che vendeva i suoi prodotti. Artù avrebbe fatto altrettanto e meglio, se i suoi uomini, già poco numerosi, non fossero necessari per presidiare le coste e, soprattutto, il confine sud-orientale, dove i sassoni tentavano in ogni modo di sconfinare ed occupare altre terre. Assorto nei suoi pensieri, si accorse solo dopo un po' di tempo che la pioggia era dapprima diminuita e poi cessata del tutto. Riuscì a vedere con più chiarezza, potendo così notare che un idolo c'era ancora, anche se talmente rovinato da non permettere di distinguere se si trattasse di una divinità romana o precedente. Notò anche, nell'ombra alle spalle dell'idolo, una piccola nicchia ricavata tra le radici di un albero. C'era un ciotola con delle offerte di cibo, recenti: qualcuno ancora si ricordava dell'Oscura Signora e le chiedeva protezione. Tornò al suo cavallo, rinfoderando la spada, sperando che il suo destriero fosse più calmo e riprendesse il cammino. «Di là andati sono!» — disse una voce stridula alle sue spalle. Cavaliere25 si girò di scatto, portando nuovamente la mano all'elsa della sua arma, ma la fece ricadere quasi subito. Dall'ombra, tra gli alberi, dietro l'idolo che aveva intravisto poco prima, sbucò una vecchia donna, minuta, vestiva un'ampia veste e un mantello con cappuccio, entrambi di color verde scuro: abiti poveri, ma dignitosi; ai piedi calzava dei sandali di corda, piuttosto consumati. Leggermente curva, si appoggiava ad un bastone, un ramo nodoso e spesso. Si osservarono a lungo, in silenzio. Cavaliere25 pensò di avere di fronte un'antica abitante delle montagne di questa regione: un'appartenente all'antico popolo, come venivano chiamati. La vecchia aveva dei capelli nerissimi, appena striati di bianco, e il volto, dalla carnagione olivastra, era scavato da rughe profonde, tra le quali spiccavano gli occhi, come socchiusi a fatica. Ma dietro le pesanti palpebre, brillavano delle iridi, nere, scure e vivaci. «Di là, andati sono!» — ripeté di nuovo la vecchina, rompendo il silenzio e indicando col dito alle spalle del cavaliere. «Passato non è molto tempo! Persi non avete, coloro che indietro lasciato vi hanno!» «Di chi parlate?» — chiese Cavaliere25 — «Non ho perso nessuno. E la mia strada è quella, in direzione di Caer Liwelydd.» «Ciò che voi credete, questo è!» — sentenziò sghignazzando — «Di là, detto vi ho! Là, andati sono, e là andare dovete!» — aggiunse, continuando a sghignazzare. «Mi spiace, signora! Mi confondete con qualcun altro!» Pensando che la povera donna non fosse tanto sana di mente, Cavaliere25 la salutò cordialmente, montò a cavallo e cominciò ad allontanarsi al passo. «Urge il vostro aiuto, e non sarà invano!» — disse a voce alta, alle sue spalle, una voce che non era più quella stridula della vecchina, ma quella della donna del suo incubo. Si voltò di scatto, ma vicino all'idolo non c'era più nessuno. "...un luogo vi sarà indicato" "Ci risiamo!" — disse tra sé Cavaliere25, serrando le mascelle. Poi, con un sospirò e una nuova sensazione d'urgenza, prendendo il cammino alla sua sinistra — la strada che porta a Caer, all'antica Deva, la fortezza dei romani —, spinse di nuovo ad un galoppo sfrenato il suo destriero. Kerygwel si era ripresa dai postumi della visione. Cavalcava quasi in testa al gruppo, subito dietro Hanes e Sir Heinrich, che procedevano al piccolo trotto. L'aria, divenuta fresca e profumata, la rinvigoriva e il sole di quella tarda mattinata, alle loro spalle, faceva splendere ogni cosa sul loro cammino, fino all'orizzonte. Anzi, curvando nuovamente verso nord al bivio che incontrarono uscendo da un piccolo bosco — seguendo la strada, anziché il largo sentiero che portava verso ovest —, vide proprio davanti a sé che c'era qualcosa che mandava dei riflessi, rimanendone abbagliata: qualcosa di metallico, probabilmente. Quando si avvicinarono un po' di più, scorsero un piccolo carro, che si avvicinava, muovendosi in direzione opposta alla loro. "Un mercante" — pensò Kerygwel. Di lì a poco, la sua intuizione si trasformò in certezza, e il gruppo già distingueva nitidamente il mercate che faceva loro gesti per attrarre l'attenzione ed invitarli a fermarsi. Era un omino buffo, grassoccio, dal viso rotondo e roseo, con capelli folti e ricciuti, ma presenti solo sui lati del capo. Era alla guida di un carretto che traboccava di mercanzie di ogni genere, tra le quali abbondavano suppellettili in metallo. Ma non era da lì che provenivano i bagliori notati poco prima, ma dal medaglione e dalla spessa catena che portava al collo: poteva sembrare d'oro, ma Kerygwel ne dubitava. E in quel momento accadde... Kerygwel dapprima fu investita da una sensazione fortissima, come un'onda improvvisa, che sapeva di forza, di curiosità e di ancestrale memoria. Poi, un'ombra calò su tutti loro con un fruscìo assordante, trascinando con sé un vento freddo e un odore pungente. Kerygwel fece in tempo a scorgere due strane ali. Ne intuì la direzione e guardò verso il carro del mercante. L'omino era sparito, ma si udivano le sue grida: provenivano dall'alto. Tutti insieme guardarono in su e ammutolirono dallo stupore: un drago! Kerygwel avrebbe urlato per la meraviglia, ma le mancava l'aria. Era uno spettacolo incredibile. Un drago! Stava vedendo un drago! Pesava non ne esistessero più... E pensava a quando lo avrebbe raccontato a tutti gli altri sull'isola dei druidi. Intanto, dopo aver afferrato il povero mercante, il drago aveva iniziato a girare in tondo sopra di loro e continuava a dare occhiate alla creatura che gridava e si dimenava tra i suoi artigli, avvicinando di tanto in tanto la sua testa all'omino. Poi, prese una decisione: addentò la testa del mercante; fece pressione; si udì netto il secco infrangersi delle ossa del cranio; poi, la staccò con decisione; volteggiò ancora un paio di volte sul posto; e infine scelse una direzione e si allontanò. Ripresosi dalla meraviglia e riottenuto il controllo del suo cavallo, che dall'arrivo del drago aveva cominciato a scalciare e a imbizzarrirsi, Sir Heinrich attirò l'attenzione dei suoi uomini e impartì loro degli ordini: «Portate Lady Kerygwel a Segontium, il più in fretta possibile. Non fermatevi per nessuna ragione. Lì troverete dei druidi che l'aspettano con una barca. Affidatela a loro. Poi, andate a Deva: ci ritroveremo lì,... spero!» Le ultime parole giunsero loro come un'eco lontana, perché Sir Heinrich e Hanes era già partiti al galoppo, inseguendo il drago, che si era diretto, zigzagando nel cielo, prima verso sud e poi a occidente, verso la piccola catena montuosa chiamata Y Berwyn. Quando, con il suo cavallo ancora lanciato al galoppo, sbucò dalla curva della strada che usciva da un piccolo boschetto, Cavaliere25 non si aspettava di certo un imprevisto così bizzarro. Aveva appena cominciato a distinguere un gruppo di persone ferme sulla strada, quando scorse un'ombra improvvisa sopra di lui; poi, fu raggiunto da una folata di vento improvviso e infine fu investito da una pioggia di sangue. "...Sangue dal cielo." Il suo cavallo si arrestò di colpo, si imbizzarrì e cadde di lato, rovinando a terra. Cavaliere25 riuscì a non rimanere schiacciato dal suo destriero, ma rimase con un piede bloccato sotto la sella. In quel mentre, sopraggiunsero velocissimi due uomini a cavallo che superarono con un balzo lui e il suo destriero e, sempre al galoppo, giunsero al bivio nei pressi del boschetto e svoltarono a destra, verso ovest, verso le montagne. Comprese che stavano inseguendo qualcosa. E quel qualcosa stava volando davanti a loro: un drago! «Alla fine un maledetto drago c'era per davvero!» — disse a mezza voce, mentre tra sé realizzò che stava vedendo un drago, il suo primo drago, e che esistevano dopo tutto. Si liberò quasi subito dal suo cavallo che si rialzò contemporaneamente a lui. Vi montò sopra e guardò in direzione delle persone che aveva scorto in precedenza. Sembrava che stessero per ripartire. Tra di loro gli parve di distinguere una ragazza che guardava nella sua direzione. D'un tratto lei alzò il braccio destro e punto l'indice verso i due che si allontanavano inseguendo il drago. Cavaliere25 non aveva bisogno di un altro suggerimento, aveva già compreso in quale direzione avrebbe dovuto andare. Fece un cenno col capo e si allontanò al galoppo cercando di raggiungere gli uomini che lo precedevano e il drago. (continua)
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Se a ciascun l'interno affanno si leggesse in fronte scritto, quanti mai, che invidia fanno, ci farebbero pietà! (Metastasio) Ultima modifica di Hastatus77 : 09-10-2011 alle ore 21.20.16. Motivo: Corretta prima parte |
17-07-2011, 20.17.20 | #7 |
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I parte
Qualche tempo fa mi trovai affacciato da una delle torri di questo castello. Era l'alba, e pensai di godermi la quiete che precede il risveglio degli abitanti del nostro regno, di percepire i primi, dolci olezzi dei fiori e delle piante di questo florido giardino nel quale quotidianamente ci capita di incontrarci. Pensavo di poter osservare tutti gli animali e insetti mettersi all'opera (il tempo passa ad osservarli che uno non si rende neanche conto), invece... non fu così. Sinceramente non saprei neanche riferire con esattezza cosa sia accaduto, ma sono certo che saprete aiutarmi a ricostruire la vicenda. Dunque, mi trovai affacciato dalla torre, quando... ... Lady Gonzaga correva lungo il cortile verso l'entrata. Era la tipica corsa di chi si sta affrettando per comunicare qualche novità. Non vi era alcun dubbio che tenesse qualcosa tra le mani, qualcosa che... ...le fece perdere l'equilibrio, e inciampò sul lastricato. Si rialzò, e dopo qualche attimo ritrovò il passo celere di prima. A quel punto si poteva riconoscere cosa teneva tra le mani: si trattava di un foglio, più esattamente di una lettera. Entrò dal portone d'ingresso del castello di Camelot, ma era ancora presto e non trovò nessuno nella grande sala. Quindi uscì nuovamente. In assenza dell'altrui consiglio dovette fare affidamento al suo, ma talvolta è sufficiente interpellare il proprio giudizio e prestargli ascolto. Dalla semioscurità della sala tornò alla luce mattutina delicata che invano cercava i primi raggi di sole. Senza ulteriore esitazione Gonzaga si avviò verso il giardino, nel quale ha sempre trovato le risposte più adatte ai propri quesiti. Caso mai avrebbe trovato lì conferma o smentita della propria intuizione. Nella sua mente era già fissata ogni parola della lettera appena scoperta, eppure il senso stentava a trovare una collocazione certa nei suoi pensieri. In fondo al cortile, davanti al giardino si spezzò finalmente la sua solitudine, ed incontrò qualcuno a cui volentieri avrebbe confidato il contenuto della lettera, pur di sgravarne la propria mente dai dubbi che in così poco tempo le aveva suscitato. Si trattava di Emrys: "Buongiorno, mia cara Gonzaga. Così presto, e già così solerte? Raramente la mia passeggiata mattutina trova interlocutori disposti a staccarsi dalle braccia di Morfeo, prima che la sveglia o il gallo provvedano a ciò. Eppure non erro nel vedervi oltremodo agitata". Gonzaga: "Pare che il mattino abbia donato a voi la quiete che ha voluto sottrarre a me, sir Emrys. Ma... voi come mai siete già sveglio, a passeggiare fuori e oltretutto di buon umore?" Emrys: "Il buon umore, milady, è il bastone che mi accompagna passo per passo a qualsiasi ora della giornata. La natura, nella sua operosità silenziosa, conserva i consigli più antichi a chi riesce ad ascoltarli, e qual momento migliore se non quando la natura stessa si sveglia? Basta anticiparla di qualche minuto, e svelerà tutti i suoi segreti a chi sia disposto ad intenderli. I vostri, lady Gonzaga, presumo siano custoditi nelle righe di questa lettera che tenete per mano, giusto?" Gonzaga: "Gius... ... ma come sapete che si tratti di una lettera? Potrebbe essere un foglio qualsiasi!" Emrys: "Il mio intuito suggerisce che non si tratti esattamente della lista per la spesa!". Gonzaga: "Così è infatti! La lettera è alquanto misteriosa, credetemi!" Emrys: "La lettera, o il suo mittente?" Gonzaga: "Bé, l'una in conseguenza dell'altro... ... ma chi vi ha detto che si tratti di un mittente, nel senso che...". Emrys: "Mia cara Gonzaga, il mio intuito già a quest'ora è sufficientemente sveglio da suggerirmi che non sia stata vostra zia a farvi gli auguri per l'onomastico per iscritto, e per questo ora siete così agitata! Dunque chi l'ha scritta? Aaaahhh, ho capito, un vostro spasimante è stato attratto dal suono della cetra con cui ogni pomeriggio fracass... ...deliziate le nostre orecchie qui in giardino, non è così?" Gonzaga: "Non saprei. Il mittente è misterioso per voi che non conoscete il contenuto della lettera allo stesso modo come lo è per me! Leggete voi stesso" (gli porge la lettera). Emrys: "Bla bla bla... ... ...firmato un cavaliere di Camelot. Perlomeno sappiamo da dove viene e cosa fa di mestiere. Dove l'avete trovata questa lettera?" Gonzaga: "Ero diretta al mercato quando, passeggiando tra i viali fioriti che conducono fuor dai confini, pensai quanto fosse... ...". Emrys: "Cara, non vi ho chiesto la vostra biografia!" Gonzaga: "Perdonate, l'ho trovata sulla panchina poco più avanti in giardino, tenuta ferma con una pietra, la dove sono solita suonare la cetra il pomeriggio. Cosa mi suggerite? Chi potrebbe essere il mittente? Cosa dovrei fare secondo voi, provare a scoprirne l'identità, o attendere che sia lui a presentarsi al mio cospetto e dichiarare i propri intenti?" Emrys: "Seguite quel che vi suggerisce il vostro istinto, ma fate in modo che non corra più della ragione! Ove questa si trova ad inseguire, prima o poi si corre il rischio di inciampare per la troppa fretta!" Gonzaga: "Vi ringrazio per il vostro consiglio, sir Emrys. Non che ora ne sappia più di prima ma... ... in fondo non è cambiato nulla, ma grazie lo stesso! Buona passeggiata!" Lady Gonzaga si allontanò entrando in giardino. Emrys, pensando tra sé: "Beata gioventù, l'ingenuità è vostra compagna fedele e spesso anticipa i vostri intenti!" Così Gonzaga si addentrò nel giardino, percorrendo sentieri a lei ben noti. Passò accanto alla panchina, sulla quale aveva poco prima trovato la lettera. Più avanti giunse nell'angolo più recondito del giardino, ove si trova un pozzo antico, intorno al quale le damigelle di Camelot sono solite dare appuntamento ai loro spasimanti, al termine di lunghi e ricercati corteggiamenti. Lady Gonzaga si appropinquò al pozzo con un presentimento indefinibile. Appena giunta lì, provò a sporgersi oltre per volgere il suo sguardo in fondo, al suo interno. Avrebbe già dovuto discernere il suo volto riflesso nell'acqua straordinariamente pura e limpida. Avrebbe dovuto vederlo. Ma così non fu. In realtà vide una cosa completamente diversa. Diversa ed inattesa. Inattesa e inspiegabile. La lettera, che tanto gelosamente aveva tenuta stretta da quando l'aveva trovata, le cadde dalla mano. La prima folata di vento di quel mattino la allontanò leggermente sull'erba. Lasciamo lady Gonzaga immobile in quell'immagine mentre osserva il fondo del pozzo e ciò che si trova al suo interno, quasi fosse un dipinto, circondata dai cespugli pieni di fiori. Facciamo alcuni passi indietro, mentre l'immagine di Gonzaga si rimpicciolisce ai nostri occhi. Torniamo alla panchina sulla quale trovò la lettera, e se fossimo passati da qui pochi minuti prima, avremmo scorto una persona correre molto in fretta. Una persona, per l'esattezza una fanciulla, che ormai si è allontanata parecchio da quel punto. Proviamo a raggiungerla inseguendo le sue tracce invisibili, e scopriamo che si tratta di lady Sibilla. Ormai ha raggiunto il posto cui era diretta, il cortile interno sul retro del castello di Camelot. Inequivocabilmente tiene qualcosa tra le mani, forse un foglio, ma più probabilmente si tratta di una lettera... ... ... Lady Sibilla aveva ormai raggiunto il cortile interno, di corsa. Purtroppo per la gran fretta dimenticò di fermarsi, e inciampò sulle antiche pietre. Era sempre stata affascinata da questa parte del castello, che le sembrava indubbiamente la più romantica. Doveva pensare ogni volta a Lancillotto, che probabilmente passeggiando qui sospirava per Ginevra. Oppure pensava a Ginevra, che passeggiando qui doveva aver sospirato per Lancillotto. O ad entrambi che di nascosto dovevano aver sospirato insieme. Oppure a re Artù, che da solo doveva aver sospirato per loro due. Ma Sibilla si accorse subito di non essere sola in quel posto, e chiamò: "Emrys, anche voi qui? Come mai così presto?" Emrys rispose: "Ho sempre avuto l'impressione che queste antiche mura che ci circondano in questo cortile fossero portatrici di altrettanto antichi pensieri e consigli. La notte porta mistero, ma l'alba raschia dal mondo ogni enigma, e talvolta pare che si possano udire in modo appena percepibile talune di questi vecchi pensieri. Piuttosto, milady, cosa sospinge i vostri passi con tanta furia, quasi fosse già l'ultima, e non la prima ora del giorno? Per caso è questa lettera che tenete tra le mani?" Sibilla: "Così è, sir Emrys... ...ho ancora il fiatone, desiderate leggere voi stesso?" (gli porge la lettera). Emrys: "Bla bla bla... ... ... cavaliere di Camelot... ... ma siete sicura di non averla avuta da Gonzaga, o che lei l'abbia perduta? È esattamente la stessa! Dove l'avete trovata, se posso domandarvi?" Sibilla: "Dunque, mi stavo recando al lavoro dall'alchimista, come ogni mattina, camminando lungo i viali fioriti che conducono fuori da qui e pensando a ciò che... ...". Emrys: "Mia cara, non vi ho chiesto la vostra biografia!" Sibilla: "Perdonate, l'ho trovata incastrata in un cespuglio di mimose, dinanzi al quale sono solita soffermarmi ogni mattina per odorarle!" Emrys:" Hmmm, ogni mattina, dite?" Sibilla: "Così è!" Emrys: "Allora questo fantomatico cavaliere di Camelot, come si firma, deve conoscere le vostre abitudini! Nella lettera si dichiara devoto a voi e confida nel vostro aiuto, ma lo stesso lo dice anche a Gonzaga! Qualche idea sulla sua possibile identità?" Sibilla: "Volevo chiedere lo stesso a voi!" Emrys: "E io ricambio la domanda!" Sibilla: "Ciò non mi porta molto lontano. Grazie comunque, sir Emrys, e buona passeggiata!" Sibilla si allontanò, uscendo dal cortile. Emrys, pensando tra sé: "Gioventù, gioventù, la vostra ingenuità vi abbaglia anche in mancanza di sole! Eppure è tutto così evidente!" Fine I parte. II parte Sibilla ebbe qualcosa come un'illuminazione, e molto presto avrebbe scoperto se si sarebbe confermato vero o falso, soluzione o illusione. Entrò nel castello, e si diresse speditamente in un'ala molto recondita di esso. Non incontrò nessuno strada facendo, ed ancor meno prevedeva di poter incontrare anima viva proprio qui. Scese una scala a chiocciola con scalini la cui pietra era consumata dai passi di molti secoli. L'umidità tipica dei luoghi sotterranei si percepiva con tutti i sensi, e vi era una sola torcia in fondo alla scalinata ad illuminare il suo percorso. Sibilla pensava: "Sono già inciampata, non occorre che mi capiti una seconda volta,... ...vero?" Vero! Aprì con una certa fatica il pesantissimo portone il legno, prelevò la torcia dal muro, ed entrò in quella che, senza timore di smentita, possa definirsi una delle stanze più misteriose del castello. Era l'antico laboratorio! Sibilla fu colta da un brivido improvviso al solo pensiero che qui Merlino possa aver preparato i suoi incantesimi, e quali antiche ricette segrete siano ormai divenute segreto esclusivo di tali mura! Era tutto nel più totale disuso, abbandonato da secoli. Ovunque si vedevano fiale, contenitori, strani attrezzi e fogli e libri abbandonati all'oblio. Sibilla aveva qualcosa come un'intuizione, come dicevamo. Si guardò intorno con la torcia in mano, provò a far luce qua e la dove le serviva, analizzava i contenitori, fino a quando si avvicinò ad una bottiglietta e... ... ... . Si, era proprio quella! Incredibile che la storia non abbia inghiottito nel vortice del proprio passato tale oggetto così intriso di leggende, eppure era proprio lì! Si trattava di... ... ... . Facciamo qualche passo indietro e usciamo dalla stanza buia mentre Sibilla continua a fissare incredula la bottiglietta (ma lasciamo la porta aperta, altrimenti la ragazza si spaventa!). Risaliamo le scale, e torniamo a vedere con i primi raggi del sole che ormai penetrano attraverso le finestre all'interno della grande sala d'ingresso. Non siamo più soli, perché in lontananza, lo avrete intuito, c'è una persona che sta correndo. Una fanciulla, per l'esattezza. Qual 'è la sorpresa in tutto ciò? Ora vedrete: Lady Dafne correva fuori dal castello. In realtà non sapeva neanche dove andare esattamente, però intanto correva. Il motivo della sua corsa? Ovviamente la lettera che stringeva in una mano. In lontananza vide la splendida fontana al lato del cortile, e davanti ad essa la sagoma d'una persona che riconobbe ben presto essere sir Emrys. Esattamente la persona che poteva darle un saggio consiglio, per cui accelerò ulteriormente la sua corsa per raggiungerlo. E lo raggiunse. Purtroppo al momento di fermarsi lady Dafne inciampò, e cadde nell'acqua della fontana. Emrys osservò la scena senza scomodarsi neanche di un solo centimetro, e quando vide Dafne tuffarsi, disse solo: "Gioventù, gioventù, beata gioventù!", scuotendo la testa. Dopo un po' lady Dafne riemerse, si guardò intorno agitata, e urlò: "Nooo, la lettera!" (che era finita in acqua insieme a lei). "Ora non si potrà più leggere, sir Emrys, e non ricordo bene il contenuto che volevo... ...". Emrys la aiuto cavallerescamente ad uscire dalla fontana, mentre Dafne provò a scuotersi per asciugarsi. Emrys: "Fatemi indovinare, ...un cavaliere di Camelot, ... ...bla bla bla.... ... a voi devoto... ...bla bla bla... ...richiede il vostro aiuto... ... non è così?" Dafne: "Ma come fate a saperlo?" Emrys: "Non siete la prima fanciulla che arriva oggi con questa lettera, per fortuna però sarete l'ultima. Presumo che vogliate chiedermi un suggerimento sulla sua identità, giusto?" Dafne: "Ma è ovvio, una lettera così ben scritta, con tutti i crismi della cavalleria, può essere solo il frutto d'un animo nobile, cortese ed onesto! Voglio sapere a tutti i costi chi sia questo cavaliere! Chi, ma soprattutto dove sia!" Emrys: "Quanta furia, milady! Sono certo di non errare nel suggerirvi di seguire semplicemente il vostro istinto, e se possibile, asciugatevi che vi prenderete un raffreddore". Dafne: "Ma voi cosa ci fate qui davanti alla fontana a quest'ora del mattino, se posso domandarvi?" Emry: "Di sicuro non ci faccio il bagno come voi! Questo gioco di acque ha sempre suggerito un'armonia ideale ai miei versi, e proprio da questa sorgente traggo ispirazione! E voi, la vostra lettera dove l'avete trovata?" Dafne: "Appoggiata ad un vaso nel balcone dal quale mi affaccio ogni mattina appena sveglia per respirare subito l'aria fresca. Infatti di tanto in tanto vi saluto da lì, mentre fate la vostra passeggiata mattutina per il cortile". Emrys: "Giusto, giusto. Dunque, questo misterioso cavaliere di Camelot che ha messo lì la lettera conosceva bene anche le vostre abitudini, e ha fatto in modo che la trovaste proprio adesso". Dafne: "Sir Emrys, credo di avere una vaga idea! Vi farò sapere, ma adesso corro. Buona passeggiata!" Dafne, ancora tutta bagnata, corse verso l'interno del castello. Emrys invece rimase fermo, appoggiato alla fonta. Sul fondo vide ancora la lettera. Cominciò a scuotere la testa. E a sorridere. Dafne salì le scale che conducono alla torre più alta. Aprì il portone, e si trovò all'aria aperta. Il vento asciugò in fretta i suoi vestiti, così come i raggi del sole già più caldi a quell'ora del mattino, mentre lei si guardò nervosamente intorno. Ad un certo punto vide sventolare qualcosa. Qualcosa che a prima vista non poteva avere alcun senso. A prima vista no. Ma come sventolava in quel momento, era già successo in un frangente ben più tragico della storia. E fu lì che Dafne capì. O pensò di aver capito. O forse si illuse di aver capito. Ah, beata gioventù! Lasciamo lady Dafne sola sulla torre più alta di Camelot, e rientriamo nel castello. Scendiamo le scale e attraversiamo la grande sala d'ingresso. Niente paura, non c'è più nessuno con una lettera in mano. Raggiungiamo quella che è una delle stanze più nobili del nostro castello, la sala dei dipinti. Qui sono ritratti tutti (o quasi) i cavalieri che mai abbiano fatto parte della tavola rotonda, o comunque siano entrati nella leggenda di Camelot. Per l'esattezza, i quattro muri sono stracolmi di ritratti. Lancillotto, Gaheris, Bors, Gawain, proprio tutti. Difficile dire se il loro sembiante corrispondeva del tutto, non lo saprà mai nessuo, ma in verità a Camelot nessuno lo ha mai voluto mettere indubbio. Ma adesso dobbiamo spostarci, e anche in fretta, poiché qualcuno ci sta venendo addosso. Lady Gonzaga si precipitò nella grande sala dei dipinti. Non fece in tempo a rendersi conto del proprio stupore dinanzi a tale sfarzo, che subito stava per essere travolta da Sibilla che seguì subito dopo. Allo stesso modo volse lo sguardo intorno, senza trovare le parole adatte. Non le trovò neanche Dafne, che si precipitò nella stanza. Quanti nobili cavalieri hanno fatto la storia di Camelot, pensarono tutte e tre congiuntamente, ma nessuna di esse pronunciò il proprio pensiero. Gonzaga: "Sapeste cosa mi è capitato!" Sibilla: "Sapeste cosa è capitato a me!" Dafne: "E io allora cosa dovrei dire?" Così raccontarono quel che era accaduto, confrontando le lettere (tranne Dafne, ovviamente). In quel momento giunse Emrys, curioso di sapere quale fosse l'esito delle ricerche delle tre fanciulle. Gonzaga: "Guardai in fondo al pozzo. L'acqua al suo interno è straordinariamente limpida, c'è chi sostiene infatti che si tratti delle lacrime degli spasimanti che vengono respinti dalle dame che corteggiano. Comunque sia, nel fondo trovai questo, e lo tirai fuori". Gonzaga mostrò a tutti una lunga ciocca di capelli dorata. Sibilla: "Ma a chi sarà mai appartenuta? Io invece, nel laboratorio ho trovato questa bottiglietta, ormai vuota, che un tempo conteneva un filtro magico per fare innamorare chi ne bevesse!" Dafne: "Ma come fate a saperlo, se ormai è vuota?" Sibilla: "C'è scritto sull'etichetta, tra le avvertenze: "Attenzione, consumare con cautela, può provocare sintomi di innamoramento, anzi lo farà sicuramente! E voi, Dafne?" Dafne: "Arrivata in alto sulla torre vidi sventolare qualcosa, per l'esattezza questi due drappi, uno bianco e uno nero". Gonzaga: "Sono stati ritagliati ai loro margini, quindi un tempo componevano un tessuto molto più grande. Dal tipo materiale potrebbero sembrare forse... ... ...". Sibilla: "Delle vele per imbarcazioni, una bianca e una nera!" A quel punto le tre fanciulle si guardarono reciprocamente negli occhi, e Emrys le seguiva. Avevano capito chi fosse il loro cavaliere misterioso, e in silenzio si diressero davanti al suo ritratto. Lo osservarono, e pronunciarono il suo nome all'unisono: "Tristano!" In quel momento entrò Morrigan: "Tristano chi?", e raggiunse il gruppo. Dafne: "Oh amante sublime, quasi perfetto, colpevole senza aver commesso colpe! E adesso torna qui a Camelot, dopo tanti secoli, e chiede aiuto proprio a noi!" Sibilla: "La ciocca dorata dei capelli di Isotta, il filtro magico che li fece innamorare, e l'equivoco della vela bianca e di quella nera al suo arrivo. Ma come è possibile, Emrys?" Emrys: "Camelot è un luogo senza tempo, anche se devo dire che le mie ossa lo sentono più che bene il tempo che scorre!" Gonzaga: "Emrys, vi chiediamo allora di metterci a disposizione tutta la vostra arte nel saper comporre i versi, per rispondere a Tristano e dichiarargli la nostra volontà di accoglierlo!". Dafne: "Si, lasceremo le tre lettere di risposta lì dove Tristano ci lasciò gli indizi, e aspetteremo". Emrys: "Eh eh, mie care giovincelle, la poesia può molto, ma non tutto. Badate bene, posso comporre dei versi che abbiano simili poteri, ma per far ciò mi occorre un inchiostro che, agli occhi di chi legge, abbia questi effetti persuasivi". Sibilla: "Andremo a comprarvelo subito, messer Emrys, così ci scriverete subito la lettera!" Emrys: "Non è così semplice, le componenti necessarie per tale inchiostro sono ben più rare: da un lato occorre cogliere una rarissima rosa blu di montagna. Con molta, ma molta fortuna se ne riesce a trovarne una proprio sulle montagne ai confini più settentrionali del regno. Poi occorre un altrettanto rara e preziosa orchidea nera, che cresce, forse, in un giardino nascosto oltre l'immensa foresta oltre i confini occidentali del regno. Infine, e questa e la cosa più difficile, occorre trovare l'elitropia, la leggendaria pietra che rende invisibili. Secondo la leggenda si trova nei ruscelli ai confini meridionali del regno. Una volta che disporrò di questi elementi, sarà facile triturarli per ricavarne infine l'inchiostro magico. A quel punto, potremo scrivere a Tristano, e non vi è alcun dubbio che, se leggerà le lettere, si innamorerà dei vostri nomi che le firmeranno, e non esiterà a raggiungervi!" Dafne: "Non è sufficiente dipingere una rosa di blu, un'orchidea di nero e prendere una pietra qualsiasi che solo somigli all'elitropia?" Emrys: "Mia cara, l'amore è si cieco, ma non del tutto scemo!" Gonzaga, Sibilla e Dafne: "Allora corriamo subito a cercare queste tre componenti. A presto". Quindi le tre graziose fanciulle uscirono dalla sala dei ritratti, e rimasero solo Morrigan e Emrys. Morrigan: "Perché mi guardate così, Emrys? E soprattutto, perché ridete?" Emrys: "Posso confidarvi un piccolo segreto?" Morrigan: "Ma certo, con me è al sicuro!" Emrys: "Le tre lettere sono finte! Le ho scritte io stesso per ingannare le tre dame!" Morrigan: "Come, allora anche tutta la storia dell'inchiostro magico, la rosa blu, l'orchidea nera, l'elitropia...?" Emrys: "No, quello è tutto vero, l'inchiostro può essere fatto realmente, ed effettivamente possiede il potere di far innamorare chi legge parole scritte con questo inchiostro. E proprio per farmi procurare queste componenti ho spedito loro tre. Ultimamente notavo come sospiravano per le antiche storie d'amore di Camelot, così ho escogitato questo pretesto che, come vedete, fa funzionato egregiamente! Una volta che avrò le tre componenti e avrò fatto l'inchiostro, potrò finalmente comporre versi da destinare ad una fanciulla di cui vorrei conquistare i sentimenti". Morrigan: "Ma loro tre certamente rimarrano molto deluse!" Emrys: "Sono giovani, mia cara, così come voi. Siete facilmente soggette ad illusioni ed inganni, ma bisogna pur imparare nella vita!" Morrigan: "Ma perché non siete andato voi stesso a procurarvi queste componenti?" Emrys: "Io, da solo, per gli angoli opposti del regno? Avrei impiegato anni interi a mettere insieme tutto, loro al massimo tra un paio di settimane saranno di nuovo qui!" Morrigan: "Ma avreste potuto chiedere a qualcuno di procurarveli, magari pagandolo adeguatamente. Così non sarebbe stato necessario ingannare loro tre". Emrys: "Il caso vuole che queste sostanze siano soggette alle stesse regole della spada nella roccia: possono essere colte solo da chi sia mosso da un sentimento sincero, altrimenti perdono il loro effetto". Morrigan: "Quindi foste voi a nascondere sia le lettere, sia gli indizi?" Emrys: "Così è!" Morrigan: "Ma non potreste più semplicemente dividervi l'inchiostro e fare metà voi e metà loro?" Emrys: "Purtroppo ogni filtro magico può essere destinato ad una sola persona, in questo caso la fanciulla di cui intendo conquistare gli affetti. Per quanto riguarda le nostre graziose amiche, sono nel pieno della loro bellezza e disongono di tutte le armi della seduzione, non occorre loro possedere filtri magici". Morrigan: "L'inchiostro magico! Incredibile, sir Emrys! Siete un novello Oberon che spreme il succo del fiore di cupido sugli occhi di Lisandro, Demetrio, Ermia e Elena, come in sogno di una notte di mezza estate!" Emrys: "Novello Oberon? Mia cara, in realtà fui io allora a consegnare a Oberon il preparato, ma nella mia ingenuità giovanile gli consegnai tutti gli ingredienti, senza tenerne per me! Ah, ingenuità dei giovani". Morrigan: "Devo scappare, a presto, Emrys". Così Morrigan corse verso la porta, ma... ... Emrys: "Morrigan!" Morrigan (era già quasi uscita): "Si, sir Emrys?" Emrys: "Capite bene che se direte una sola parola a loro tre sarò costretto a trasformarvi all'istante in un rospo, vero?" Morrigan: "Non in una farfalla?" Emrys: "In un rospo!" Morrigan: "Allora non dirò niente". Poco più tardi, nella sala d'ingresso del castello, Morrigan incontrò le altre tre che stavano per andare. Morrigan: "Buon viaggio, a presto!" Dafne, Gonzaga e Sibilla si guardarono negli occhi, quasi a consultarsi senza parole, poi: Sibilla: "Possiamo confidarvi un segreto, prima di partire?" Morrigan: "Con me sarà al sicuro!" Sibilla: "Le tre lettere di Tristano sono finte!" Morrigan: "Cosa? Come fate a saperlo?" Dafne: "Le ha scritte lo stesso Emrys. Negli ultimi giorni ci siamo messe di proposito a recitare versi delle grandi storie d'amore tradizionali in sua presenza, per attirarne l'attenzione. Sapevamo dell'inchiostro magico, ma solo lui conosce come si prepara. Una volta terminato, glielo toglieremo di nascosto e lo utilizzeremo noi! I versi delle sue poesie sono eccellenti già così, senza ulteriore magia!" Gonzaga: "Ma non ditegli niente, altrimenti saremo costrette a trasformarvi in un rospo!" Morrigan: "Ma conoscete almeno la formula per farlo?" Gonzaga: "Un modo si troverà, niente paura". Morrigan: "Ma così vi perderete il gran ballo questo fine settimana, con tutti i cavalieri del regno pronti a corteggiare le dame! E l'occasione migliore e capita una sola votla l'anno!" Sibilla: "Tranquilla, non ci perderemo niente, al massimo entro un paio di giorni saremo di ritorno, non più di tre!" Dafne: "No, due giorni basteranno comodamente!" Morrigan: "Buon viaggio, allora!" Un anno, 9 mesi e 17 giorni dopo. Davanti all'entrata di Camelot. Dafne, Sibilla e Gonzaga: "Finalmente a casa! Che fatica! Ecco che arriva Morrigan. Morrigan: "Siete tornate, finalmente! Avete recuperato tutte le componenti?" Sibilla: "Ci mancherebbe anche che dopo tanto tempo torniamo a mani vuote! Certo che abbiamo tutto!" Gonzaga: "Appena sarà pronto l'inchiostro, sostituiremo di nascosto la boccetta con una che conterrà una sostanza del tutto simile, che noi provvederemo a preparare. Non si accorgerà di nulla, e se si, sarà ormai troppo tardi!" Morrigan: "Strano comunque che Emrys si sia fatto ingannare da voi, di solito possiede la facoltà di guardare almeno per brevi momenti nel futuro, quindi se ne sarebbe accorto!" Dafne: "In questo caso però gli sarebbe stato più utile impiegare l'altra sua facoltà di guardare nel passato, quando abbiamo ordito questo tranello". Gonzaga: "Bé, per guardare contemporaneamente avanti e a retro avrebbe dovuto essere particolarmente strabico!" Sibilla: "Il gran ballo com'è andato poi?" Morrigan: "Quale, quello dell'anno scorso o di quest'anno? Ve ne siete persi due! Che cavalieri, che eccellenze! Altro che Tristano! Ma ecco che arriva Emrys" Emrys: "Finalmente, bentornate!" Gonzaga: "Abbiamo tutto, quanto occorrà per preparare l'inchiostro?" Emrys: "A fare le cose per bene, circa una quindicina d'anni, non più di venti!" Gonzaga, Sibilla e Dafne: "Cooosaaaaa?" Emrys: "Scherzavo, scherzavo, il tempo di darvi una rinfrescata, e sarà già pronto". Più tardi si incontrarono nell'ufficio di Emrys. Emrys: "Questo è l'inchiostro già pronto! Per stasera ormai è tardi, sono troppo stanco per comporre versi, inoltre e stata preparata una festa per il vostro ritorno. Ci incontreremo domani per le lettere". Così uscirono Dafne, Gonzaga e Sibilla dall'ufficio di Emrys, e rimasero solo lui e Morrigan. Emrys: "Mia cara Morrigan, sappiate, se già non lo sapete, che le nostre tre graziose amiche tenteranno di sostituire questa boccetta con un loro inchiostro che proprio in questo istante stanno andando a preparae, imitandone il colore! Proprio per questa ragione la boccetta che lascerò qui sulla scrivania sarà falsa, e quella vera rimarrà per tutta la notte sotto il mio cuscino". Morrigan: "Vedo che è proprio impossibile ingannarvi!" Emrys: "Da troppi secoli ormai cammino per le vie di questa terra, ne ho viste troppe per farmi ingannare da tre fanciulle! Ma non dite niente, altrimenti, come sapete, sarò costretto a trasformarvi in rospo!" Quindi si ritrovarono tutti a cena, insieme agli altri abitanti di Camelot. Fu una serata molto divertente, quando ad un certo punto accadde che... ... Emrys: "Sono staaaanco, molto staaaaanco, perdonatemi, ma con le mie ultime forze cercherò di raggiungere il letto. Buonanotte!" Tutti: "Buonanotte!" Dafne, Sibilla e Gonzaga si rivolsero a Morrigan Gonzaga: "Sappiate che gli abbiamo messo un potente sonnifero sia nel cibo che nelle bevande, meglio abbondare. Ha funzionato perfettamente!" Dafne: "Sapevamo che avrebbe sostituito la boccetta sulla scrivania con una falsa, prevedendo una nostra azione. Probabilmente terrà quella vera con sé, magari sotto il cuscino. Grazie al potente sonnifero però non si sveglierà se la sostituiremo! Ma non ditegli niente, perché altrimenti dovremo... ...". Morrigan: "Si, si, mi trasformerete in un rospo, lo so!" Il mattino dopo, all'alba, Morrigan e Emrys si incontrarono nel cortile. Gli altri dormivano ancora, visto che la cena si era protratta a lungo. Morrigan: "Allora, a costo di essere trasformata in rospo, tanto a questo punto mi sembra quasi inevitabile, devo dirvi che... ...". Emrys: "Il sonnifero? Lo so, lo so.... ...". Morrigan: "Allora dovete sapere che... ...". Emrys: La boccetta che hanno sostituito sotto il mio cuscino? So anche questo. Ma voi dovete sapere che ieri sera, poco prima di cena, mi sono recato di nascosto nelle loro stanze. Ero certo che da qualche parte vi fosse la boccetta con l'inchiostro finto, che poi avrebbero sostituito di notte con quello vero sotto il mio cuscino. Quindi ho provveduto a lasciare a loro la boccetta contenente l'inchiostro vero, che loro tre in questo modo mi hanno praticamente restituito nottetempo, riportandomela di fatto direttamente sotto il cuscino e riprendendosi quella finta fatta da loro stesse! Ha ha! Gioventù, gioventù, l'ingenuità vi accompagna fedelmente!" Morrigan: "Devo dire che sono senza parole!" Emrys: "Io invece posso rassicurarvi: non è mai esistita una formula per trasformarvi in rospo, ma ero sicuro che mi avreste voluto credere! Comunque sia, filtri d'amore e incantesimi simili hanno sempre portato al male, le nostre fanciulle posseggono le grazie per sedurre, non hanno bisogno di magia! Per evitare altri equivoci, mi appresto subito a scrivere la lettera alla mia adorata per consumare l'inchiostro nella boccetta." Morrigan: "Se portano al male, perché allora voi stesso siete propenso ad utilizzare l'inchiostro magico?" Emrys: "Come dite? Eeeehm, .... ... devo andare, buona giornata!" Infine Emrys si incamminò adagio verso il luogo nel quale avrebbe scritto i versi da dedicara alla fanciulla per la quale sospirava. Purtroppo, nel pensare a lei non si rese conto di uno scalino pochi passi più avanti, sul quale era piuttosto facile inciampare. ...Quattro passi.... e pensava alla fanciulla. ...Tre passi... e pensava ai suoi versi. ...Due passi... e pensava all'inchiostro. ...Un passo, ancora niente. D'improvviso... Emrys: "Questo scalino non lo avevo visto proprio, meno male che me ne sono accorto in tempo altrimenti sarei inciampato!" Allora proseguì, ma non si accorse subito dopo di una buccia di banana a terra. Così scivolò e cadde a terra. "Non è successo nulla, tutto a posto!" Emrys si rialzò tranquillamente e proseguì. In breve si renderà conto che nella caduta si sia infranta la boccetta con l'inchiostro, ma all'eccellenza dei suoi versi di certo non occorre la magia! Fine Aphelion Ultima modifica di Hastatus77 : 22-07-2011 alle ore 14.18.48. Motivo: Aggiunta seconda parte del racconto |
22-08-2011, 23.10.47 | #8 |
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Un invito particolare
I parte
Il campanile del Santuario della Vergine aveva da poco scandito il mezzogiorno. Il rudimentale termometro, che il medico di corte teneva nel suo studio, segnava i 40° e un’aria afosa all’inverosimile aleggiava su tutta Camelot. Le dame erano tutte rintanate nei loro appartamenti che, essendo all’interno del palazzo, godevano ancora di una temperatura sopportabile. Nessuno camminava per le vie della cittadella che, essendo tutte lastricate di marmo e pietra, parevano una graticola. Sir Hastatus, cavaliere della tavola rotonda e fidato supervisore del regno, era chiuso fin dal primo mattino negli appartamenti riservati agli ufficiali: stava cercando di definire i turni di guardia per le settimane a venire. Ai suoi sottoposti aveva dato ordine di non essere disturbato da nessuno per nessuna ragione ma, già da un paio d’ore, sostava davanti la porta dell’ufficio uno dei cadetti di Guisgard: Cavaliere25. Il buon ragazzo, dopo avere atteso invano per un’ora intera di essere ricevuto da Hastatus, era passato ai tentativi di corruzione della sentinella: “Senti, se mi fai entrare, ti offro un boccale da litro giù alla taverna” …nessuna risposta, la sentinella restava impassibile… “Ok dai, ti regalo anche un paio d’ore in compagnia di Lulù la migliore tra le ragazze di Madame Bebel” …ancora niente, l’uomo non cedeva… “Ci aggiungo anche la mia sella, ti piace vero la mia sella, era di Sir Guisgard sai? Me l’ha regalata quando lui ne ha ricevuta una in dono dal Saladino” …nessun effetto. Cavaliere25 stava per gettare la spugna quando vide la sentinella irritarsi per una goccia di sudore che gli era entrata in un occhio irritandolo: “Posso andare a prenderti dell’acqua fresca con la quale puoi sciacquarti il viso…” la sentinella inarcò le sopracciglia, Cavaliere25 capì di aver fatto la mossa giusta e proseguì “se mi annunci a Sir Hastatus te la vado a prendere subito direttamente giù nel pozzo”. La sentinella fu vinta e, dopo aver avuto il suo secchio d’acqua, aperse la porta dell’ufficio di Hastatus al giovane cadetto che, con un po’ di timore entrò: “Chi è? Che c’è? Avevo detto di non voler essere disturbato, cosa vuoi?” disse il Cavaliere “Signore, sono Cavaliere25, cadetto di Sir Gui….” Fu interrotto bruscamente “Lo so chi sei, mi ricordo ancora delle tue gesta gloriose contro quel marrano di Virno” Hastatus si alzò e gli porse la mano “So che quel pazzo di Guisgard non ti ha ancora promosso cavaliere, come si fa a non riconoscere il valore in te… la gloria e l’amore devono avergli annebbiato la vista” “Sì, sì” tagliò corto Cavaliere25 “Però signore, io sono qui per avvertirvi di una cosa incredibile: una serie di ancelle, dodici, forse sedici, hanno requisito in nome di non so chi il piazzale di allenamento giù alla caserma dei cadetti. Ecco, noi non sappiamo che fare… non se ne vogliono andare…” “Bene, è compito di Guisgard sorvegliare che tutto sia in regola laggiù, ditelo a lui…” rispose Hastatus “Sì, ehm, ci abbiamo provato ma… ecco… lui… lui…” Cavalire25 era imbarazzato “Lui cosa??” intervenne Hastatus stizzito “Lui è occupato e non è il caso che vi dica altro…” disse Cavaliere25 arrossendo e abbassando gli occhi. Visibilmente arrabbiato Hastatus congedò il cadetto e, in men che non si dica, uscì per dirigersi alla residenza privata di Guisgard. Proprio quando si trovava in mezzo alla piazzetta della città alta fu avvolto da una nuvola di polvere. Non vedeva nulla ma riusciva perfettamente ad udire l’abbaiare dei levrieri del suo collega. Inspiegabilmente pochi istanti dopo si trovò a terra con un peso sullo stomaco: Daniel, il nuovo cadetto, gli era caduto addosso infrangendo tutte le regole militari possibili e immaginabili. “Per tutti i barbari che ho sconfitto, che diavolo stai facendo cadetto!” disse Hastatus ancora più adirato di prima “Sss..i…gnore” esclamò Daniel sorpreso scattando immediatamente in piedi sull’attenti “Signore, mi dispiace, io… i cani… perdono!” “Ti è forse dato di volta il cervello? Non sai che si deve sempre cedere il passo ad un superiore? Dirò a Guisgard di punirti severamente e io provvederò a inflarti in tutti i turni di guardia di mezzogiorno per tutto il tempo che durerà questo caldo! E ora fuori dalla mia vista… e recupera quei maledetti cani che combinano solo guai! Mannaggia a te, ai cani, al padrone e a chi glieli ha regalati!” disse il cavaliere pulendosi le vesti. Le dame nel frattempo si erano riunite nella sala detta “della musica” e sorseggiavano chiacchierando freschi succhi di frutta. “Sapete mie care, ho passato tutta la mattina a provare vestiti” disse Lady Gonzaga rompendo il silenzio “ho ricevuto uno strano biglietto stamane…” “Già, anch’io l’ho ricevuto” disse Talia “Un biglietto? E di che si trattava?” chiese Morrigan “Mah, c’era scritto Dame mie dilette, rivestitevi di nuovo ornate i vostri capelli riempite il cuore di allegria una festa è indetta per amore, amicizia e bellezza” rispose Talia “Già, anche io ho ricevuto lo stesso identico messaggio” disse Melisendra entrando in quel momento nella sala con una cesta piena di fragole che porse subito alle amiche. “Pare sia per il 23 agosto, domani!” proseguì la dama distribuendo la frutta. “Oh care, alla festa andateci voi, io non ho tempo. Devo ancora disfare molti dei bauli che ho portato dal mio lungo viaggio. E poi, fa troppo caldo per festeggiare!” rispose Elisabeth sorseggiando il suo succo all’albicocca (una novità appena arrivata dall’oriente con i cavalieri di ritorno dalla crociata). Le dame continuarono il chiacchiericcio, Elisabeth si alzò e andò verso la finestra. Da lì si poteva vedere il piazzale sottostante, notò Hastatus attraversarlo con passo deciso mentre un giovane cadetto si allontanava rincorrendo dei cani. Poi vide il cavaliere bussare alla porta di Guisgard… (continua)
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24-08-2011, 20.55.49 | #9 |
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II Parte
Ecco la sencoda parte... lo so, non è molto avvincente ma... così è venuta
Tre colpi alla porta, decisi e forti. Guisgard aveva appena ricevuto da Emrys un’allarmante comunicazione e, furioso, aveva dovuto interrompere la sua mezza giornata di trucco, parrucco e manicure. (si sa, i grandi eroi da romanzo sono un po’ esigenti…. E vanitosi!) Sentendo qualcuno alla porta il nervoso era montato ancora di più “Ancella! Va tu, ci sono solo se è una cosa importante ed urgente!” disse Guisgard stringendo i pugni. Poco dopo la ragazza era ritornata “Signore, è Sir Hastatus. L’ho fatto entrare, ha detto che è importante, mi sembrava adirato. Vi aspetta nell’anticamera” fece la ragazza piegandosi in un inchino. “Bene, bene, bene! Proprio lui volevo vedere adesso!” asserì il cavaliere serrando i denti, dirigendosi verso la porta, aprendola con violenza. Quando i due cavalieri furono l’uno davanti all’altro entrambi apparvero nervosi, l’aria era tesa. Guisgard fu il primo a rompere il silenzio: “Hastatus, proprio tu vieni qui! Tu!?!? Dopo quello che hai fatto!” “Quello che ho fatto?? Ma che stai dicendo??” rispose Hastatus tra l’irritato e il sorpreso “Sai benissimo a cosa mi riferisco! Tu hai prevaricato il tuo ruolo prendendo delle decisioni che non ti spettavano!” “Come sarebbe a dire!?” fece Hastatus “Dovrei essere io a fare la ramanzina a te che passi le ore a farti bello mentre io mi faccio in quattro per gestire tutta la baracca!” “Oh, a quanto pare hai talmente tanto da fare che trovi il tempo per occuparti anche della mia scuola di cadetti. Quello è compito mio, Hastatus, lì comando io, non tu! Come ti sei permesso di concedere alle donne il mio campo da addestramento?” disse Guisgard urlando “Che cosa? Io che cos’avrei fatto? Come ti permetti di dire una cosa del genere! Sono stati i tuoi cadetti a farsi soffiare il campo da quattro femminucce. A quanto pare hanno preso da te: quando vedono una sottana ondeggiare perdono la testa!” replicò Hastatus. Guisgard furente, e come onore cavalleresco impone, gettò il suo guanto ai piedi del parigrado ed esclamò solennemente: “Ti sfido a duello Hastatus. Ora. Qui fuori nel piazzale. Al primo sangue” “Al primo sangue!” rispose l’altro digrignando i denti. Emrys che origliava dietro la porta sorrise pensando: “Il piano sta andando alla perfezione, la mia cara Lady sarà contenta. Ora devo solo avvertire Cavaliere25 e Daniel di passare alla fase successiva del piano” e così dicendo uscì dalla porta secondaria e raggiunse i due cadetti vicino al pozzo. Vi arrivò senza fatica sgattaiolando furtivamente come un ladruncolo tenendo un sorrisetto sornione sul viso. Cavaliere25 e Daniel aspettavano seduti; quando lo videro gli corsero incontro pieni di domande: “Emrys, com’è andata??” disse Daniel “Tutto procede per il meglio? Hanno abboccato?” fece Cavaliere25 “Avete visto che volo ha fatto Hastatus giù in cortile, sarà stato furente quando è entrato da Guisgard…” replicò Daniel “Oh beh, se è per questo avreste dovuto vedere la faccia di Guisgard quando gli ho comunicato che Hastatus aveva ‘invaso il suo territorio’… e che litigata dopo!” disse Emrys ridacchiando “ora si stanno per sfidare a duello. Io passerò di lì ‘per caso’ ” simulò il gesto delle virgolette con le dita “e, quando mi chiameranno per fare da testimone, farò in modo che ne abbiano per un bel po’. Voi procedete come stabilito: tu, Daniel, recati negli appartamenti di Hastatus e prendi tutto il cibo, il vino e i liquori che custodisce gelosamente nella sua credenza (sapete, sono cose speciali che gli arrivano direttamente dall’oriente). Tu, Cavaliere25, vai a casa di Guisgard e requisisci tutti i suoi unguenti, gli incensi, le spezie, i profumi e… non dimenticare l’eunuco dai poter taumaturgici! Bene, ognuno al suo posto ora…” concluse Emrys “Un’ultima cosa, avete recapitato il biglietto a tutte le dame come vuole colei che tutto ha deciso?” “Certamente! Un’ancella li ha appena portati nella ‘sala della musica’. Me ne sono occupato io mentre Daniel tornava giù al campo di allenamento per controllare che tutto fosse in ordine” disse Cavaliere25 “Oh, dovreste vedere che come abbiamo sistemato la zona. Sembra un vero Harem orientale… Sì, un Harem senza sultani” aggiunse Daniel mentre sogghignando si allontanava. Poco dopo una fanciulla consegnava gli inviti alle dame di Camelot. “Ragazze, un nuovo messaggio!” fece Talia che per prima aveva aperto la busta “vediamo un po’: raggiungetemi al campo di addestramento dei cadetti, “Santo cielo… questa cosa si fa sempre più intrigante” disse Melisendraper una volta, è tutto nostro… non crederete ai vostri occhi… Fate presto! D.” “Chi sarà poi costui o costei che si firma D.” replicò Elisabeth “Mah, che ce ne importa! Andiamoci, le sfide mi piacciono! E poi non temete, se dovesse essere un malintenzionato dovrà fare i conti con la mia spada” fece Morrigan accarezzando il pomello della sua fedele arma. “Se è per questo ci sono anch’io” esclamò Elisabeth mettendosi, spada alla mano, accanto all’amica. Lady Gonzaga fu la prima ad infilare la porta per dirigersi verso il luogo dell’appuntamento. Subito dopo la seguirono tutte le altre damigelle. Intanto giù nel piazzale Hastatus e Guisgard, da ottimi cavalieri quali erano, se le stavano ‘dando di santa ragione’ sotto lo sguardo di Emrys. Il piano stava riuscendo a meraviglia! I due cavalieri non si erano accorti di nulla ma i due cadetti stavano letteralmente svaligiando i loro appartamenti, per la gioia delle dame. Esse arrivarono poco dopo al campo di addestramento e rimasero estasiate da ciò che videro: “Santo Cielo!” fece Lady Gonzaga “A quanto pare siamo in Oriente!” aggiunse Melisendra L’eunuco di Guisgard uscì dalla tenda e, scostando una delle tende fece segno alle signore di entrare. “Accidenti, che pompa magna…” disse Morrigan infilando la spada nel fodero “Chissà che cosa ci sarà lì dentro…” fece Talia avvicinandosi all’entrata “Un attimo!” disse Elisabeth rivolgendosi all’eunuco “A che cosa dobbiamo tutto questo popo’ di roba?” “Mia padrona” fece l’uomo mettendo in mostra una fila di senti bianchissimi “questa è una festa organizzata da Lady Dafne per voi. Ella vuole festeggiare tra donne l’anniversario del suo primo anno di permanenza a Camelot, è dentro che vi aspetta…” poi aggiunse “Per le squisitezze dovete ringraziare Hastatus e per gli unguenti il mio signore padrone Guisgard” disse abbassando lo sguardo e sogghignando. Così, mentre i due eroi da romanzo combattevano grondanti di sudore per un motivo farlocco e archietettato ad arte da Dafne, Emrys, Cavaliere25 e Daniel, le dame di Camelot si godevano prelibatezze orientali e massaggi rilassanti, drenanti e rigeneranti da loro inconsapevolmente offerti! Del duello mai non si seppe il vincitore,
ad altre preoccupazioni i due cavalieri piombarono quando seppero che i loro tesori erano stati sottratti dalle loro dimore ma il sorriso delle dame di Camelot placò ogni loro ira e il buon Bardo e i coraggiosi cadetti non subirono pena.
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